Intrusion, la recensione

Intrusion di Adam Salky è un thriller che vuole navigare nel contemporaneo ma che poi non ha alcun voglia di sforzarsi per raccontare qualcosa.

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Intrusion, la recensione

L’invasione dello spazio domestico, luogo dove viene affermata la propria identità (sia privata che sociale, cioè identità di classe) e quindi terreno da invadere o da difendere, è qualcosa che a partire da Parasite di Bong Joon-ho è diventato un tema d’eccezione della poetica (e politica) per immagini. Senza ombra di dubbio, Intrusion di Adam Salky è tra gli innumerevoli film recenti che navigano in questa direzione. Ambientato quasi interamente in una casa (guarda caso lussuosa, costruita su più piani, una piramide sociale in forma architettonica) il film è un thriller con protagonista una donna, Meera (Freida Pinto), la quale in seguito a un’intrusione in casa propria si ritrova, per una serie di strane circostanze, ad indagare sulla vita extra-domestica di suo marito Henry (Logan Marshall-Green), proprio l'architetto che ha progettato la loro casa. Intrusion si muove quindi tra la paranoia identitaria (è davvero chi sembra di essere?), quella della sicurezza domestica e, non per ultima, la rivendicazione di autonomia di una figura femminile.

Tutti questi elementi e suggestioni, per quanto potenzialmente interessanti, vengono però trattati dallo sceneggiatore Chris Sparling e dal regista Adam Salky alla stregua di un canovaccio di meri “punti da toccare”, non una lista programmatica di oggetti da indagare. Intrusion è infatti decisamente più interessante come caso di studio che come film volto all’intrattenimento perché si limita a copiare qua e là, a citare (Parasite in primis, ma in modo fin troppo evidente e svogliato) e ad assumere stereotipi del thriller senza fare mai il minimo sforzo di costruirsi una propria identità, un proprio percorso, accontentandosi inoltre di una cornice visiva anonima e svogliata. Per lo spettatore, quindi, nonostante le alte ambizioni c’è ben poco di stimolante da raccogliere.

Il vero problema di Intrusion, tuttavia, non è il suo anonimato estetico. La fotografia perfezionista e votata allo standard di comprensibilità (tutto è ben visibile, a fuoco, ben illuminato) è dopotutto la dimostrazione di un lodevole tecnicismo. Ciò che invece è veramente frustrante è il modo in cui si prende gioco di chi guarda (ma forse nemmeno si rende conto di farlo), proponendo indizi e svolte palesemente prevedibili per chi guarda ma non per la protagonista. Fin da subito si capisce infatti dove il film andrà a parare, ma nonostante ciò si dovrà pazientemente attendere che il film stesso ci porti a quello svelamento. L’attesa è snervante, soprattutto se si deve sopportare la recitazione sopra le righe e macchiettistica di Logan Marshall-Green.

Il fatto è che Adam Salky non riesce mai, in nessuna scena, a lasciare la sua impronta sulla narrazione. Data la banalità della trama risulta difficile, ma anche nelle occasioni in cui potrebbe dare uno sprint al film - come nelle scene più concitate o quelle in cui si svelano informazioni importanti - il regista si accontenta di lente carrellate, goffi controcampi, reazioni facciali esagitate e al limite del comico involontario. L’attrice Freida Pinto è forse, in questo senso, la sola ancora di salvezza di tutto il film, l’unica che riesce a dare compostezza, misura e una certa eleganza a un film che ne è privo.

È impossibile per Intrusion riuscire a raccontare ciò che si prefigge, ovvero dinamiche identitarie complesse e posizioni politiche definite, poiché si priva sia della forza metaforica tipica del cinema di genere (ciò che per esempio riesce a fare l’horror nella sua forma migliore) sia del coraggio e della volontà narrativa di indagare l’ambiguità dei rapporti umani, le dinamiche di potere (ricchi-poveri, uomo-donna). Intrusion si fa invece bastare l’esposizione svogliata dei suoi temi, risultando solamente come un film che non ha voglia di raccontare niente.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Intrusion? Scrivetelo nei commenti!

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