Intruders – La recensione

[San Sebastian Film Festival] Un ottimo Clive Owen non salva l'horror molto soft diretto da Juan Carlos Fresnadillo e scritto - male - da Casariego & Marques...

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Il sogno, quella vita parallela che ci accoglie spesso appena chiudiamo gli occhi distesi sul letto, ha caratterizzato tanti racconti cinematografici, forti di un innegabile punto di partenza capace di scuotere chiunque: quanto potrebbbe essere  preoccupante se ciò che si sta vivendo ad occhi chiusi travalicasse le dimensioni e diventasse realtà?

Da Nightmare a Requiem for a Dream, passando per Se mi lasci ti cancello, Shutter Island, Mulholland Drive e Vanilla sky e tanti altri ancora: l’incubo sul grande schermo è uno degli elementi narrativi e figurativi più rappresentati nella storia del cinema.

A inserirsi in questo calderone c’è ora un nuovo titolo, Intruders, thriller paranormale diretto dallo spagnolo Juan Carlos Fresnadillo, già autore di 28 settimane dopo, e scritto dalla coppia di suoi connazionali Casariego & Marques.

Lo stesso mostro senza faccia infesta i sogni di due bambini di due capitali europee lontanissime tra loro (Madrid e Londra). Non si tratta solo di non dormire, c’è qualcosa che va al di là: il timore di essere rapiti nel cuore della notte. Come si può però fare capire ai rispettivi genitori che non si tratta di semplici incubi, ma di qualcosa di molto più serio? E, se anche poi i genitori gli credessero, come si potrà impedire alla mostruosa creatura di non tornare mai più?

Un grande cast di attori europei, Clive Owen (che dovrebbe farsi vedere di più sul grande schermo, è uno dei più bravi in circolazione), Daniel Brühl, Carice Van Houten, Pilar López de Ayala e un regista che sa ottimamente lavorare con luci, ombre, prospettive e movimenti di macchina, non riescono purtroppo a salvare Intuders dalla banalità della sua sceneggiatura. Va bene il volere lavorare sulla “paura”, ovvero su quel sentimento che spesso ti porta ad immaginare qualcosa dui ben peggiore di quel che realmente è, ma il legame tra i due fili narrativi della storia è davvero troppo esile perché lo spettatore possa subirlo senza alzare le spalle e pensare che davvero non si sapeva come dare un senso al tutto. E volendo anche soprassedere sulla non plausibilità di un dettaglio dello script che può anche sembrare piccolo, ma che in realtà mina pesantemente la credibilità di tutto il resto (perchè un bambino spagnolo dovrebbe scrivere in inglese? E, poi, se lui la storia l’ha finita, perchè in seguito appare solo scritta a metà?), anche questa continua attesa (insoddisfatta) che qualcosa accadrà da un momento all’altro finisce presto con il dissipare quanto accumulato precedentemente in termini di suspense.

Ciò che ne esce così è un horror molto soft adatto quasi più ai bambini che ad un pubblico adulto, la cui morale della favola potrebbe essere: finite sempre i compiti per il giorno dopo prima di andare a dormire...

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