Into the Night (seconda stagione): la recensione
Into the Night si sposta dall'aereo al bunker, aggiunge personaggi, crea conflitti, ma tolta quella premessa, rimane poco: la recensione
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Si fa rimpiangere la prima stagione di Into the Night, con la sua assurda premessa e la sua ambientazione caratteristica. Al termine di quella visione, che perfetta non era davvero, si poteva immaginare che, qualora la serie belga fosse andata avanti, sarebbe diventata qualcosa di completamente diverso. E così è stato. Lo show post-apocalittico di Netflix si sposta dall'aereo al bunker, aggiunge personaggi, crea nuovi conflitti. Ma dimostra anche che tutto ciò che riusciva a mettere a fuoco nei primi sei episodi era dovuto alla sua particolarità e all'urgenza che la trama imponeva a tutto. Tolto anche quello, rimane davvero poco.
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In realtà le somiglianze con la prima stagione, sia da un punto di vista della scrittura che dell'impostazione, ci sarebbero. Ancora una volta il tono dell'episodio vorrebbe basarsi sul punto di vista di un personaggio, da cui prende il titolo e di cui racconta la vita con un flashback. Ma come accadeva nella prima stagione anche qui la soluzione è pretestuosa e non del tutto approfondita. L'ambientazione claustrofobica si sposta dall'aereo al bunker, e si nota il tentativo di trasporre quel senso di prigionia dei personaggi mentre tutto intorno a loro ci sono pericoli di morte. Ma l'aereo era una prigione in movimento, e dava un impulso forte agli eventi della storia, anche quando i personaggi non riuscivano a farlo.