The Interview, la recensione

Più maturo, ben strutturato e quindi ritmato delle altre commedie di Seth Rogen, The Interview non è assolutamente un film di satira del potere ma diverte

Critico e giornalista cinematografico


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Da quando Sony ha deciso di rilasciare lo stesso The Interview on demand su diversi servizi e su un sito dedicato, oltre che in 331 sale indipendenti (nonostante le catene di cinema più importanti d'America non lo vogliano programmare), sono affiorate in rete diverse stroncature forti e decise. Non sempre vengono da siti di cinema e spesso sembrano aspettarsi tutt'altro, come se gli eventi intorno al film fossero stati motivati dalla sua qualità, e in alcuni casi pare non conoscano Seth Rogen, James Franco ed Evan Goldberg (parte del team dietro Strafumati, Suxbad, Facciamola finita e Cattivi Vicini).

The Interview invece è un film molto in linea con quelli scritti e in alcuni casi diretti da Seth Rogen, per certi versi anche migliore. Questa volta Rogen per fortuna scrive per un sè un ruolo leggermente meno scemo del solito, della coppia che forma con James Franco è quello più razionale e normale, mentre lo scemo comico tocca a James Franco per l'appunto (esilarante la fissazione del suo personaggio per Il Signore degli Anelli come metafora di qualsiasi cosa). C'è molta meno improvvisazione e una sceneggiatura più rigida, ne beneficiano quindi il ritmo e la tenuta comica (si vedono addirittura gag che ricorrono o che tornano alla fine dopo essere stata annunciate all'inizio, solitamente un miraggio in questo tipo di film comici di rapido consumo). Nel complesso però non è un lungometraggio che fa satira del potere, nè uno troppo interessato alla Corea Del Nord di per sè (benchè si svolga quasi tutto lì) quanto uno che porta avanti la tematica dell'umorismo da "gay ingenui" e del bromance con cui Franco e Rogen sono nati. E lo fa bene.

La parte sorprendente è come questo finto film di spionaggio goda di valori produttivi superiori alla media delle commedie americane (particolarmente evidenti in scenografia e fotografia del solito Brandon Trost), che ben si sposano con una sofisticazione generale maggiore. È insomma di certo la commedia più seria e adulta per Rogen e di converso quella in cui James Franco dà il suo meglio con un personaggio cialtrone, ignorante e illuso da una vita alimentata dai media che ha una sua originalità (non al 100% ma così non lo si era visto). Addirittura ci sono anche delle battute memorabili (James Franco che corregge il dittatore che parla di Stalin: "Attento Kim, da noi si pronuncia Stallone!") se non delle gag visive fondate, come spesso in questi film, sul mostrare troppo che funzionano molto.

Se vi chiediate alla fine di tutta la fiera quale sia l'immagine che esce della Corea Del Nord si può dire che Kim Jong-un venga visto come nuovo Hitler ovviamente: bambinone sadico, abile manipolatore dei media, un cretino qualsiasi. Diversa è la raffigurazione dei coreani del nord che, come si conviene a questi film (gli americani facevano lo stesso già con i russi negli anni '80), sono sia soldatini del sistema sia uomini e donne desiderosi di un domani diverso. Eppure, lo ripetiamo un'ultima volta, per fortuna il film non è tanto su quello quanto sul desiderio di riscatto di un autore televisivo (Rogen) che si rende conto di fare tv spazzatura e decide di aumentare le proprie ambizioni ed essere migliore avendo però accanto il più ruffiano, meschino e populista degli anchormen.

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