Interstellar, la recensione [no spoiler]
Con Interstellar Christopher Nolan firma il suo film meno algido e cerebrale e più intimo
Inutile nascondere il fatto che il filmmaker britannico sia uno dei miei preferiti - e da tempi di certo non sospetti - fra quelli attualmente in circolazione. Poco consono dichiararlo nell'esordio di una recensione? Non penso. D'altronde anche chi fa il mio lavoro ha degli autori più apprezzati rispetto ad altri, è umano e fisiologico, mentre per quanto riguarda il resto l'importante è mantenersi onesti nell'attimo in cui ci si accosta alla pellicola specifica in esame.
Detto ciò, ammetto che l'idea di vederlo alle prese con una storia capace di trascendere quanto da lui orchestrato finora, era una prospettiva foriera di perplessità. Ok raccontare le ossessioni della società moderna celandole sotto il mantello di Batman, dietro la maschera di Bane e mascherandole con la cicatrice del glasgow smile di Joker. Entusiasmante la battaglia fra razionale e irrazionale di The Prestige, ad oggi il suo film più bello. Esaltante la costruzione, destrutturazione e riedificazione escheriana della narrativa del sogno di Inception.
La salvezza del genere umano.
Dai primi due trailer diffusi, avevo coltivato nella mia testa una selva oscura di preconcetti secondo i quali Interstellar sarebbe stato un lungo pamphlet di critica alla maniera in cui stiamo sfruttando il pianeta tanto da portarci sull'orlo del precipizio e cose di questo genere. Una pellicola cattedratica, severa, noiosa. Spettacolare, indubbiamente, ma comunque tediosa.
Non so quanto possa aver influito il fatto che inizialmente doveva trattarsi di una storia scritta per Steven Spielberg, uno di quegli artisti spesso tirati in ballo dal regista nelle svariate interviste - conferenza stampa d'Interstellar a Londra inclusa - in cui ha ripetuto più e più volte la frase "sono cresciuto nell'epoca d'oro dei grandi blockbuster, gli anni di Spielberg e Lucas". Sta di fatto che commuovermi in svariati passaggi, tanto da versare qualche lacrima, è un'esperienza che non avrei mai pensato di vivere con un'opera di Nolan.
Con l'autore britannico mi aspetto di riflettere profondamente post-visione, di gustare una messa in scena spettacolare basata sulla potenza della pellicola e, magari, del formato IMAX (che trovo più immersivo di qualsiasi stereoscopia), magari di farmi una qualche risata "macabra" come con le uscite del Joker nel Cavaliere Oscuro, di essere trascinato all'interno di un blockbuster capace di dipingere amaramente la situazione contingente, ma di lasciare comunque spazio alla speranza come nel Cavaliere Oscuro - Il Ritorno.
Ma di avvertire una sensazione di calore umano, di intimità no. Di ridere per dei siparietti che hanno come comprimari, oltretutto, delle intelligenze artificiali no. Più dei momenti in cui "Nolan gioca a fare Nolan" con virtuosismi visivi che non descriverò con alcun aggettivo perché una sola parola potrebbe risultare fuori posto e troppo rivelatrice, è stata l'atmosfera generale della pellicola ad avermi segnato. Perché la frase sull'epoca d'oro di cui sopra, può andare benissimo come dichiarazione programmatica di un regista che vuole unire spettacolo e intelligenza. Però da Following in poi, che il filmmaker di cui sto discutendo sia intelligente, l'abbiamo capito tutti, detrattori compresi. Quello che era sempre mancato era il cuore, la partecipazione emotiva del regista, l'annullamento di quel distacco un po' troppo asettico che lo contraddistingue. Interstellar però è l'espressione di un artista che ha interiorizzato la massima del "persone normali in circostanze straordinarie". Perché sotto la patina da grande kolossal fantascientifico ambientato in anni in cui l'umanità è praticamente sull'orlo del baratro pronta a cadere nel vuoto, Interstellar è la storia di un padre e dei suoi figli. E il padre in questione è un Matthew McConaughey che continua a essere in stato di grazia. Di tutti gli importanti nomi che affollano i cartelloni e i billboard del film il suo è quello che risalta maggiormente.
Anche se a colpire di più è, in primis, Christopher Nolan.
Che questa volta dimostra di avere un cuore, in aggiunta a una "beautiful mind".
E questa dose di cinema "affettivo" arriva accompagnata dalla partitura di un Hans Zimmer che qua ricorda in alcuni passaggi Philip Glass e dall'abituale, sterminato flusso di sequenze capaci di lasciare a bocca aperta per la loro bellezza e perfezione.