Insidious - la recensione

La ghost story del regista di "Saw" James Wan arriva finalmente in Italia: un'ottima prima parte seguita da un secondo atto non all'altezza della premessa...

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James Wan ha dato vita alla serie horror più duratura e celebre di questo nuovo millennio, quella di Saw l'Enigmista. Una saga che, paragonata a quelle che hanno segnato l'adolescenza di tutti gli amanti dell'horror cresciuti a cavallo fra gli anni ottanta e novanta, getta le malcapitate vittime in un contesto in cui l'orrore non arriva più da oscuri incubi, dai colpi di machete di killer mascherati che hanno la sgradevole abitudine di non schiattare mai o da pazzoidi che compiono i loro efferati crimini ispirandosi proprio ai film “di paura” e alle loro regole codificate. Nell'America del post 11 settembre non c'è più spazio per l'escapismo e gli uomini neri in stile Freddy Krueger o Jason sono stati rimpiazzati da un vendicatore malato di cancro che cerca di redimere il genere umano sottoponendo le sue prescelte vittime a contorti e mortiferi test di sopravvivenza.

Affrancatosi fin da Saw 2 dalla regia dei vari capitoli del franchise, che poi ha curato in qualità di produttore, James Wan si è reso responsabile quest'anno di un piccolo caso cinematografico, una pellicola dal budget bassissimo (appena un milione e mezzo di dollari, marketing escluso), capace d'incassare più di 90 milioni, con un rapporto costi ricavi decisamente stra-favorevole. Si tratta di quell'Insidious che ha già terrorizzato mezzo mondo e che ora arriva in Italia grazie alla Filmauro.

Prodotto da un altro specialista di film a basso budget capaci di generare introiti da capogiro, Oren Peli, l'ideatore della saga di Paranormal Activity, Insidious si presenta allo spettatore seguendo, almeno inizialmente, i canoni di una storia in cui la malcapitata famiglia di turno si ritrova alle prese con una casa infestata dai fantasmi, andandosi poi a discostare tematicamente da ciò mano a mano che gli inquietanti fatti si dipanano davanti agli occhi dello spettatore. Senza timore di spoilerare alcunché (la questione viene accennata durante lo stesso trailer), questa volta a fungere da ponte di connessione fra il mondo dei vivi e quello dei morti (qua battezzato The Further, cioè che sta oltre) è il piccolo bambino della coppia interpretata da Rose Byrne (Get Him to the Greek, X-Men L'Inizio) e Patrick Wilson (Watchmen, A-Team).

Nonostante Wan sia, come abbiamo già detto, il responsabile dell'affermarsi di un genere, il torture porn, che ha dei saldi riferimenti con la moderna percezione della paura come un elemento intimamente connesso con la realtà della vita di tutti i giorni, questo passaggio alla storia di fantasmi che, almeno sulla carta, potrebbe sembrare fuori dal suo registro, segna un deciso passo in avanti rispetto alla sua precedente prova incentrata sul sovrannaturale: Dead Silence.

Senza andare a scomodare classici intramontabili del passato come Suspense di Jack Clayton o Gli Invasati di Robert Wise, Insidious si ricollega in maniera diretta ad alcuni moderni esponenti della cinematografia horror come La Spina del Diavolo, The Orphanage o The Others; opere che costruiscono la tensione attraverso un gioco di sottazioni che attanagliano lo spettatore non con banali espedienti in stile “mostro che balza fuori all'improvviso”, ma grazie alla precisa scelta di manipolarlo tessendo una fitta tela di terrificanti suggerimenti e ipotesi circa quello che potrebbe accadere da un momento all'altro. ù

Con abili giochi d'inquadrature e situazioni, il pubblico viene colto di sorpresa in virtù della perizia con cui il regista sfrutta, con la macchina da presa, l'ambiente domestico che funge da sfondo alla storia dei coniugi Lambert. L'accostamento più ovvio che salta in mente è quello con Il Sesto Senso di Shyamalan, ma contrariamente alla fortunatissima opera d'esordio del regista indiano, in cui s'instaurava una sorta di empatia con le apparizioni grazie alla mediazione del piccolo Cole Sear, James Wan preferisce creare un'atmosfera che potrebbe essere perfettamente descritta col titolo del film: insidiosa.

Wan e il suo sodale partner artistico/produttivo Leigh Whannell giocano con tutti gli stereotipi del genere, in parte rilanciati dallo stesso produttore del film con la saga di Paranormal Activity, e lo fanno incredibilmente bene. Tutto l'armamentario di porte cigolanti, rumori raggelanti, baby monitor che emettono gracchianti versi e oggetti che non ne vogliono sapere di stare al loro posto risponde all'appello (senza dimenticare una colonna sonora in cui l'utilizzo degli strumenti ad arco è studiato a tavolino per causare arresti cardiaci e un utilizzo quanto mai appropriato degli effetti ambientali del surround); il regista però li mescola insieme senza calcare la mano sui facili effettacci, e molto spesso ci ritroveremo a sobbalzare sulla poltrona del cinema per aver notato una qualche terrorizzante presenza che, in realtà, era già di fronte ai nostri occhi senza essere stata notata. Lo spettatore viene posto dal filmmaker nella condizione di essere tanto partecipe di quello che accade ai personaggi quanto involontario complice del narratore.

I giusti meriti della riuscita di questo Insidious vanno tributati anche alle ottime prove dei protagonisti Patrick Wilson e Rose Byrne, davvero bravi a comunicare la disgregazione di un rapporto matrimoniale in cui per uno dei due è difficile credere che la propria famiglia sia realmente la vittima delle mire di pericolose e malevole presenze. Quello che davvero manca al film è un crescendo della tensione in grado di reggere l'ora e mezzo abbondante della sua durata. Insidious soffre in maniera drastica di un effettivo calo di qualità della parte finale e, più generalmente, in tutto il secondo atto.

Se, come abbiamo già detto, il suo maggior pregio è quello di risultare effettivamente terrificante grazie alla perizia con cui la mano di James Wan rimescola gli ingredienti all'interno del calderone dei più abusati cliché del genere horror, il finale inciampa nell'ambito del trito e ritrito, con tanto di presenza invasiva dell'insopportabile figura dello spiegone di turno e nel kitsch involontario. E' come se, tenutosi a freno per un buon 70% di film, avesse poi deciso di lasciare andare ogni freno inibitorio. O magari il problema risiede nel fatto che per tutta la prima parte, Insidious pone delle premesse che sarebbe stato davvero difficile mantenere fino alla fine.

Se James Wan e lo sceneggiatore Leigh Whannell fossero riusciti a fare tutto questo fino alla fine del film, il che sarebbe stato un vero miracolo, la pellicola sarebbe entrara di diritto nel novero dei migliori horror di tutti i tempi tanto da non sfigurare di fianco ai classici di Jack Clayton e Robert Wise citati in precedenza. Così com'è si ritrova ad essere una godibile corsa sull'ottovolante del cinema di genere che si apre con qualche terrificante giro della morte d'alta scuola horror per poi regalare solo qualche prevedibile sussulto che, probabilmente, vi farà passare la voglia di rifare la fila per rimettervi in coda.

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