Inside Out 2, la recensione

Sequel da manuale, Inside Out 2 non inventa niente, replica tutti i meccanismi del film originale, aumentandoli in numero e varietà. E bene

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Inside Out 2, il sequel del film d'animazione Pixar in uscita al cinema il 20 giugno

“Qualcuno finisce in un punto lontano da tutti, da cui sembra impossibile tornare indietro, destinato a essere perso per sempre” potrebbe essere la tagline della gran parte dei film Pixar, di certo di quelli di maggiore successo. Già Inside Out (come Alla ricerca di Nemo) allargava questa dinamica di scrittura a trama intera del film; il suo sequel (come è buona regola per i seguiti) lo moltiplica. Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia finiscono più volte perduti, più volte sembra che non ce la faranno mai a tornare nel quartier generale della mente di Riley. E come sempre quando qualcosa è moltiplicato più volte non può avere la medesima forza che avrebbe se usato una volta sola, e nel momento giusto. È il destino di Inside Out 2, replica fedele del primo in tutto e per tutto, solo aumentato nel numero di personaggi e nella ripetizione dei dettagli chiave, e quindi annacquato.

Questo non vuol dire però che si tratti di un sequel mediocre. L’idea alla base di Inside Out, l’assurda premessa di rappresentare i sentimenti, giustifica infatti un gruppo di personaggi estremi e non rende ridicolo qualcuno che sia solo gioia o sola rabbia. Anzi. Più viene ribadita la loro natura in ogni interazione più aumenta di senso, allargando lo spettro della loro influenza sull’animo umano. E quel meccanismo, cioè la possibilità di riconoscere dietro l’allegoria narrativa qualcosa di profondo e intimo, di proprio e comune ai propri simili è esattamente quello che rende Inside Out (1 o 2) capace di toccare nel profondo.

Se si può dire che Inside Out 2 faccia qualcosa più del primo, è semmai operare una sintesi di tutto quello che la Pixar ha prodotto. Questo film di Kelsey Mann ha una banda di personaggi dal caratteraccio che interagisce come i giocattoli di Toy Story, ha un mondo para-aziendale come Monsters & co. (e la sua stessa identica, struggente immagine finale), un quartier generale tecnologico a cui accedere come Wall-e (per non dire della sua idea che proprio nella tecnologia stia l'ultimo baluardo di cosa voglia dire essere umani), qualcuno che guida un essere umano come Ratatouille, un mondo in cui tutto è tematizzato come Cars e un'odissea in un regno immenso come Alla ricerca di Nemo. Infine c'è da sempre in Inside Out uno dei concetti basilari che si trova in quasi tutti i film Pixar, che l'unica maniera per capire il mondo e le persone non sia di guardarle nella realtà ma su uno schermo. I sentimenti guardano la vita di Riley su uno schermo, e i ricordi sono proprio proiettati con un fascio di luce, anche le sfere dei ricordi consentono di andare avanti e indietro come un video digitale, e sono quelli i momenti in cui si giunge a una consapevolezza.

Ad evitare che diventi una blanda rassegna c'è l’energia contagiosa di Gioia (personaggio eccezionale) che tutto anima, il suo non darsi mai per vinta, il suo cercare di coinvolgere e contagiare tutti. L’incredibile dedizione al miglioramento della vita di Riley, stavolta con un nemico a cui contrapporsi (un’emozione che sembra remare contro Riley, anche se pensa di fare il suo bene) ma senza essere costretti a perdere qualcosa. Nel primo film un passaggio chiave per il ritorno a un equilibrio in Riley era la perdita di Bing Bong, amico immaginario che rappresenta la sua parte più infantile. Anche qui ci sono personaggi del passato di Riley, della sua età infantile, ma vengono integrati. La costruzione di un’identità per la ragazza (questo alla fine l’obiettivo di Inside Out 2) passa ovviamente per la convivenza delle emozioni e l’accettazione della complessità, ma non più per l’oblio di una parte di sé. E questo anche se a un certo punto ci viene offerto per un attimo uno sguardo sul segreto inconfessabile di Riley, qualcosa che nessuno può sapere, un gigante nero come la notte chiuso in un caveau, destinato a rimanere lì dentro per sempre. Forse lo spunto più interessante che non viene intenzionalmente colto per confermare la sua natura inconoscibile ma che poteva introdurre un po’ di vera novità in un film che fa benissimo il lavoro di replicare il primo.

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