Inside No. 9 (quinta stagione): la recensione
Dal 2014 Inside No 9 è diventato un piccolo gradevole appuntamento televisivo, che si conferma ancora alla quinta stagione
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Dal 2014 Inside No. 9 è diventato un piccolo appuntamento televisivo. Gradevole, veloce, piacevole, decisamente meno cult di quanto dovrebbe o potrebbe essere. In ogni caso, la formula si conferma anche per la quinta stagione della serie inglese di Steve Pemberton e Reece Shearsmith. Sei puntate antologiche da mezz'ora, ognuna ambientata in un luogo diverso e particolare, ma sempre contrassegnato dal numero nove che dà il titolo alla serie. Storie che sfidano il grottesco, che corteggiano il thriller o addirittura l'horror, o che semplicemente sono drammatiche. Non c'è modo di saperlo prima.
E questo non è un male, finché lo show ha dalla sua parte la forza della scrittura. Lo si vede fin dal primo episodio, intitolato The Referee's a W***er, ambientato nello spogliatoio degli arbitri prima di un'importante partita. C'è David Morissey che interpreta un integerrimo arbitro giunto alla sua ultima partita: il destino complicherà le cose. Questa è una delle migliori puntate della stagione, una farsa drammatica molto coinvolgente e sorprendente. Cala il livello in Death Be Not Proud, con Jenna Coleman, in cui si parla di serial killer e, forse, di ossessioni. Qui il gusto per la sorpresa, il twist improvviso, l'esagerazione sconcertante prendono un po' la mano.
Arrivati a questo punto, si potrebbe costruire per quasi tutti questi episodi dei riferimenti ad altri analoghi delle precedenti stagioni. Ma Inside No. 9 grazie alla sua formula ristretta riesce a focalizzarsi meglio sulla qualità generale, e anche stavolta l'appuntamento con i due autori inglesi è davvero soddisfacente.