[Cannes 66] Inside Llewyn Davis, la recensione
Il nuovo, mostruoso film dei fratelli Coen conferma come questi due cineasti che curano regia, fotografia e montaggio di ogni loro film stiano dando vita a un cinema completamente inedito...
E' meraviglioso poter avere il privilegio di osservare come, di anno in anno, il percorso dei fratelli Coen si faccia sempre più complesso, scarnificato, essenziale e diretto. Il loro approccio alla descrizione della vita sul pianeta Terra di film in film è sempre meno dipendente da una trama o un intreccio e sempre più paradossale, in perfetta armonia con quell'idea di esistenze dominate dal caos che portano avanti fin da Blood Simple.
Però, forse anche più che in A serious man, le disavventure di Llewyn Davis riescono a vivere in un mondo sospeso, in cui ogni scenetta si regge saldamente sulle proprie gambe, grazie soprattutto ad un instancabile lavoro sull'immagine, evidente da subito, dalla prima inquadratura del protagonista che canta, preso da un angolatura e con una composizione dell'immagine che solo apparentemente è normale ma ad uno sguardo attento si rivela peculiare e attraente.
E' difficilissimo riuscire a comunicare, per non dire raccontare, quanto sia arduo convivere con i propri sentimenti peggiori, con la depressione, la fatica, la disillusione e il senso di smarrimento di fronte alla mancanza di un ordine o un criterio in quel che ci accade. Che due cineasti dedichino una filmografia intera a questo, una filmografia fatta di film dall'esecuzione mai meno di magistrale, è il più grande trionfo non raccontato dell'arte umana.