Inside No. 9 (prima stagione): la recensione

Ecco la recensione di Inside No. 9, una miniserie antologica dagli autori di Psychoville

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Inside No 9 (prima stagione): la recensione

Iniziamo facendo le presentazioni. Inside No 9 è una miniserie antologica composta da sei episodi. Arriva dall'Inghilterra e porta la firma di Reece Shearsmith e Steve Pemberton, due nomi che comprensibilmente ai più diranno poco, ma che negli ultimi anni si sono fatti notare in una serie di produzioni, ultima tra le quali Psychoville. Humour britannico, quindi grottesco, crudele, nero, privo di morale e finali conciliatori, graffiante e generalmente memorabile. Inside No. 9 è tutto questo, un progetto che per maggior familiarità potreste inserire in un'ideale categoria con Black Mirror o Utopia, ma che al tempo stesso fugge da qualunque ingabbiamento e categorizzazione, spaziando in appena sei episodi da mezz'ora ciascuno tra più generi e toni. Una serie forse non eccezionale, ma diversa, gradevole, intelligente, che dimostra come, per fare del buon intrattenimento, non ci sia bisogno di grandi budget e di produzioni imponenti, ma soprattutto di buone idee.

Unico elemento in comune tra questi episodi completamente indipendenti l'uno dall'altro è la costante ambientazione ristretta, limitata ad uno spazio chiuso più o meno angusto (una villa, una stanza, addirittura un armadio) identificato dal numero 9. In questi piccoli spazi si svolgono piccoli momenti, prendono vita piccole mediocrità di altrettanto piccoli personaggi. Il luogo chiuso come necessario opposto del pubblico e delle maschere sociali che a quest'ultimo appartengono. Nell'intimità di uno spazio chiuso i ruoli perdono di significato, la morale – che alle serie inglesi generalmente sta stretta – tende a scomparire, sommersa da ipocrisie, crudeltà, addirittura nei casi più esasperati anche atteggiamenti psicotici e fuori da ogni schema.

In questo gli inglesi sono dei maestri rispetto agli americani. Dove oltreoceano a vincere è la grande e imponente narrazione, quella dei grandi personaggi, delle grandi storie, delle grandi produzioni, in Inghilterra si è affrontata la serialità opponendo un proprio stile, che paga inevitabilmente una certa inesperienza e disinteresse sul lungo termine (la parabola discendente di Misfits ce l'ha insegnato), ma che in queste piccole storie non ha rivali. Ci si disinteressa della coerenza interna, della logica, della verosimiglianza, che sono più da "romanzo", per costruire dei piccoli "racconti" dove il valore del simbolo e della riflessione conta più di quello che vediamo in scena.

Appoggiandosi ad alcune ottime interpretazioni, su tutte quelle dei due creatori, che compaiono spesso e in ruoli diversi, ma anche quelle di volti noti come Gemma Arterton, Oona Chaplin e Conleth Hill (questi ultimi due visti in Game of Thrones), la serie spazia, come detto, tra generi e toni diversi tra di loro. Si va dal surreale Sardines, ambientato all'interno di un armadio e tutto giocato su dialoghi e ribaltamento di ruoli sociali, al divertente A Quiet Night In, episodio completamente muto che parte facendo il verso a Stanlio e Ollio per poi diventare qualcos'altro, all'angosciante Tom & Gerri, al cinico Last Gasp (che ha qualcosa di La congiura degli innocenti di Hitchcock), al teatrale The Understudy, fino all'orrorifico The Harrowing che rifà il verso ai classici Ai Confini della Realtà e Il brivido dell'imprevisto. Colpi di scena e buon intrattenimento non mancano: una serie da recuperare.

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