Inhumans 1x01 "Behold... the Inhumans/1x02 "Those Who Would Destroy Us": la recensione

La recensione dei primi due episodi di Inhumans, la serie Marvel che racconta la lotta per il trono di Attilan

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Spoiler Alert
Le aspettative nei confronti di Inhumans, già fiaccate dal responso generale delle anteprime, si infrangono circa a metà della doppia première. In quello che vuole essere il momento più drammatico e rivelatorio della storia, vediamo il sovrano Black Bolt, da giovane, uccidere inavvertitamente i propri genitori usando la voce. Qui, sotto il peso schiacciante della propria seriosità, che invece potrebbe suscitare ilarità, crolla il potenziale della nuova serie del Marvel Cinematic Universe. Apparentemente già condannato alla cancellazione già prima del suo debutto, forse fiaccato da divergenze creative interne, lo show sugli Inumani è, dopo i primi due episodi su otto complessivi, il peggior prodotto del suo universo.

Come sappiamo da Agents of S.H.I.E.L.D., il Terrigene ha conosciuto nuova vita, lasciando sbocciare in tutto il mondo un numero imprecisato di Inumani. Gli accordi di Sokovia introdotti in Civil War hanno anche lo scopo di controllare questi nuovi mutanti – ogni riferimento ai temi degli X-Men è assolutamente voluto – e mettere un freno alle loro potenzialità. Eppure gli Inumani sono una realtà esistente da secoli. Nascosti sulla Luna nella città invisibile di Attilan, osservano ora con distacco ora con rabbia a ciò che accade sul pianeta, incerti sull'agire. C'è la famiglia reale, guidata dal muto Black Bolt e dalla consorte Medusa, e c'è un campionario piuttosto bizzarro di parenti, tra i quali spicca il fratello del re, Maximus.

Si è parlato di Game of Thrones per introdurre Inhumans, forse ispirati dal personaggio di Iwan Rheon, ma in realtà qui tutto è molto più classicheggiante. Come nella più sfruttata delle tradizioni ora shakespeariane ora disneyane ora addirittura marveliane (con qualche differenza, la storia è quella di Thor), il fratello del re mira al potere, e non esita a tradire i suoi congiunti pur di ottenerlo. I due sovrani, insieme ai reali Gorgon e Karnak, finiscono sulla Terra, sfuggendo al colpo di Stato grazie al potere del teletrasporto del cagnolone Lockjaw. Intrappolati alle Hawaii, dovranno capire le regole del nuovo mondo e trovare il modo per tornare a casa.

Il problema di Inhumans non è il soggetto. Anzi, l'idea per quanto già vista è molto interessante. Dal suo essere classica e banalmente già vista, anche all'interno dello stesso Marvel Universe, trae quella forza che permette nonostante tutto allo spettatore di entrare in sintonia con un contesto che di affascinante ha poco. Il problema non è nemmeno la tematica. L'avevamo già sottolineato, ma il conflitto di fondo è molto interessante. I mutanti, simbolo di pregiudizio, nel momento in cui creano la loro società finiscono per ricadere nello stesso errore, con una struttura classista basata su una forma di eugenetica. Praticamente una distopia, e per quanto la scrittura cerchi di convincerci del contrario definendola “meritocrazia” (ma dove?) per bocca di Maximus, in fondo le motivazioni del personaggio non ci sembrano affatto errate.

Ciò che non funziona è la scrittura. E potremmo elencare, e lo faremo, tutte le pecche dello show da questo punto di vista, ma ciò che colpisce ripetutamente durante la visione dei due episodi è la mancanza di fiducia della serie nei nostri confronti. Insomma, sono trascorsi 10 anni dall'inizio del MCU. L'abbiamo visto svilupparsi tra cinema, piattaforme streaming e tv, incastrando storyline, personaggi e riferimenti nel lunghissimo termine. Se siamo qui è perché siamo spettatori attenti. Inhumans, a fronte di una narrazione tra le più semplici, si pone invece come se stesse sempre raccontando un'altra storia, molto più complessa e stratificata. E lo fa come se fosse uscita tanti anni fa e parlasse ad un'altra categoria di spettatori.

La storia è bloccata da un numero spropositato di flashback che ci rimandano a scene viste circa venti minuti prima. Il worldbuilding è di grana grossa tanto nel contenuto quanto nella forma, e anche qui ogni dialogo – emblematici quelli durante il rituale della Terrigenesi – cade ell'exposition più marcata. Sia Gorgon che incontra un improbabile gruppo di surfisti maestri di vita o Karnak che si aggira per la giungla parlando da solo e raccontando cosa sta pensando (non è l'unico), tutto nella composizione dell'intreccio serve un avanzamento che dovrà andare così perché le storie di questo tipo funzionano così, e tanto basta.

Il problema è che dietro le ostilità o le alleanze non c'è nessuna sostanza a reggerle, e ogni rapporto è costruito in base ai ruoli necessari piuttosto che ai personaggi alle spalle. Potremmo essere tentati di dar la colpa all'interpretazione con le sopracciglia di Black Bolt, o ai capelli fluttuanti di Medusa, ma qui è tutto un contesto che racconta una storia in modo troppo meccanico. Chiaramente nel caso del re ci si gioca la carta del “fish out of water” arrogante in certe cose, ingenuo in altre (appunto, Thor), ma tutto ciò a cui riusciamo a pensare è perché Black Bolt sia sconvolto da una foto fatta con lo smartphone mentre sulla Luna esistono cuffie per la musica e rasoi elettrici.

Sono piccolezze, è chiaro, ma sono anche segnali di un prodotto dalla lunga e difficile gestazione, pensato per il cinema, ripensato per la tv, che forse per strada ha smarrito la propria identità.

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