Inhumans 1x01 "Behold... the Inhumans/1x02 "Those Who Would Destroy Us": la recensione
La recensione dei primi due episodi di Inhumans, la serie Marvel che racconta la lotta per il trono di Attilan
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Come sappiamo da Agents of S.H.I.E.L.D., il Terrigene ha conosciuto nuova vita, lasciando sbocciare in tutto il mondo un numero imprecisato di Inumani. Gli accordi di Sokovia introdotti in Civil War hanno anche lo scopo di controllare questi nuovi mutanti – ogni riferimento ai temi degli X-Men è assolutamente voluto – e mettere un freno alle loro potenzialità. Eppure gli Inumani sono una realtà esistente da secoli. Nascosti sulla Luna nella città invisibile di Attilan, osservano ora con distacco ora con rabbia a ciò che accade sul pianeta, incerti sull'agire. C'è la famiglia reale, guidata dal muto Black Bolt e dalla consorte Medusa, e c'è un campionario piuttosto bizzarro di parenti, tra i quali spicca il fratello del re, Maximus.
Il problema di Inhumans non è il soggetto. Anzi, l'idea per quanto già vista è molto interessante. Dal suo essere classica e banalmente già vista, anche all'interno dello stesso Marvel Universe, trae quella forza che permette nonostante tutto allo spettatore di entrare in sintonia con un contesto che di affascinante ha poco. Il problema non è nemmeno la tematica. L'avevamo già sottolineato, ma il conflitto di fondo è molto interessante. I mutanti, simbolo di pregiudizio, nel momento in cui creano la loro società finiscono per ricadere nello stesso errore, con una struttura classista basata su una forma di eugenetica. Praticamente una distopia, e per quanto la scrittura cerchi di convincerci del contrario definendola “meritocrazia” (ma dove?) per bocca di Maximus, in fondo le motivazioni del personaggio non ci sembrano affatto errate.
La storia è bloccata da un numero spropositato di flashback che ci rimandano a scene viste circa venti minuti prima. Il worldbuilding è di grana grossa tanto nel contenuto quanto nella forma, e anche qui ogni dialogo – emblematici quelli durante il rituale della Terrigenesi – cade ell'exposition più marcata. Sia Gorgon che incontra un improbabile gruppo di surfisti maestri di vita o Karnak che si aggira per la giungla parlando da solo e raccontando cosa sta pensando (non è l'unico), tutto nella composizione dell'intreccio serve un avanzamento che dovrà andare così perché le storie di questo tipo funzionano così, e tanto basta.
Il problema è che dietro le ostilità o le alleanze non c'è nessuna sostanza a reggerle, e ogni rapporto è costruito in base ai ruoli necessari piuttosto che ai personaggi alle spalle. Potremmo essere tentati di dar la colpa all'interpretazione con le sopracciglia di Black Bolt, o ai capelli fluttuanti di Medusa, ma qui è tutto un contesto che racconta una storia in modo troppo meccanico. Chiaramente nel caso del re ci si gioca la carta del “fish out of water” arrogante in certe cose, ingenuo in altre (appunto, Thor), ma tutto ciò a cui riusciamo a pensare è perché Black Bolt sia sconvolto da una foto fatta con lo smartphone mentre sulla Luna esistono cuffie per la musica e rasoi elettrici.
Sono piccolezze, è chiaro, ma sono anche segnali di un prodotto dalla lunga e difficile gestazione, pensato per il cinema, ripensato per la tv, che forse per strada ha smarrito la propria identità.