Infinite, la recensione
Ci prova Infinite, molto goffamente, a fare il filmone impegnato, a raccontarsi come un blockbuster dalla profonda morale sulla contemporaneità. L’obiettivo non potrebbe essere però più lontano.
Chissà cos’ha fatto di male Mark Wahlberg nella sua vita precedente per arrivare a Infinite. La domanda, in realtà, non è poi così ironica se si pensa che Infinite dovrebbe spiegare perché il suo personaggio, un uomo capace di ricordare le sue vite passate, è destinato a salvare il mondo dalla follia sterminatrice di un cattivo senza scrupoli (e senza chiare motivazioni).
Eppure ci prova Infinite, molto goffamente, a fare il filmone impegnato, a raccontarsi come un blockbuster dalla profonda morale sulla contemporaneità. L’obiettivo non potrebbe essere più lontano: il mondo che racconta è talmente vago, i personaggi sono così vuoti, privi di motivazioni in qualche modo comprensibili (con cui muovere ad empatia) che è totalmente impossibile per chi guarda credere anche solo per un attimo a quello che si sta vedendo. Dall’inizio alla fine di Infinite siamo sempre fuori dai giochi, impassibili di fronte a una storia che sembrano capire soltanto i personaggi.
La missione - ovvero fermare il cattivo dallo sterminare tutto ciò che respira - il personaggio di Mark Wahlberg la compirà anche con grinta, a muso duro, ma la sua dedizione non potrà che essere resa vana dal più semplice degli errori di scrittura: non si capisce perché fa quello che fa. Manca, alla base, tutto un contesto di forze in campo, di spinte e di motivazioni che possa immergerci nell’universo narrato.
Di questo minestrone insapore non rimane quindi niente a visione finita se non l’ironica meraviglia di fronte a sequenze totalmente esagitate. Non capita infatti tutti i giorni di vedere, per esempio, un personaggio che si butta con una moto da una collina per poi atterrare su un aereo in volo, per poi aggrapparcisi conficcando nell’ala una katana. Antoine Fuqua avrebbe anche la testa, i mezzi e l’occhio per regalarci qualcosa di meglio: pur essendo qui avvolto da un montaggio schizofrenico, un certo senso dello spazio e del movimento si rileva eccome. Tutto va però inesorabilmente a rotoli non appena i personaggi aprono bocca per dire delle banalità, ricordandoci che il loro movimento caotico in un mondo altrettanto caotico è l’unica verità inconfutabile del film.
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