Inferno, la recensione

Il terzo adattamento delle avventure letterarie di Robert Langdon è il migliore. Inferno di Ron Howard ci parla di amore, virus e misteri dentro l'arte del Rinascimento

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L'amore ai tempi della sovrappopolazione.

Inferno di Ron Howard, terzo adattamento cinematografico dalla saga letteraria di Dan Brown (i volumi cartacei sono 4), è sostanzialmente una storia d'amore. Anzi due, come le coppie di amanti protagoniste di un thriller ambientato tra Firenze, Venezia e Istanbul (ricostruita in green screen per le scene en plein air).

Qualcuno vuole risolvere il problema di un mondo troppo affollato attraverso la diffusione di un virus ed ecco allora intervenire un Robert Langdon senza memoria alle prese con una Firenze che gli appare davanti agli occhi solo quando si fa buio (bellissima trovata registica di Ron Howard già nei minuti iniziali). La prima parte è una scalmanata gita enigmistica in cui Langdon, smemorato, in preda ad allucinazioni (tra i numerosi flash infernali spicca più di una volta quello che sembra un combattente dell'Isis) ma sempre fine simbologista, deve ricostruire cosa ha fatto negli ultimi giorni fiorentini indagando nei minimi dettagli la Mappa dell'Inferno di Botticelli, La Battaglia di Marciano del Vasari e la Maschera di Dante. È quella sezione di questi scorrevoli 121 minuti che ci riporta indietro al 2006 quando Il Codice Da Vinci (2006) appassionò e/o irritò mezzo mondo con i suoi segreti nascosti dentro grandi e famose opere d'arte. Nella seconda parte -nettamente la migliore- si smette di correre per musei, giardini o corridoi segreti e si approfondisce meglio la parte melò di un'avventura dove Howard è molto bravo a enfatizzare l'aspetto umano di quello che prima sembrava solo il terzo professionale blockbuster internazionale con Tom Hanks nei panni del Professore di Harvard.

Si può uccidere mezzo mondo per amore dell'umanità (attenzione a citazione quasi letterale dal discorso di Harry Lime ne Il Terzo Uomo di Carol Reed) e, soprattutto, lo si può decidere di fare come massima prova di un inquietante idillio di coppia? Il tema della sovrappopolazione è interessante e attuale (dal documentario Domani a Kingsman: Secret Service), la sceneggiatura di David Koepp piuttosto calibrata (unico neo: come fa un gigante come Tom Hanks a trovare della sua stessa taglia gli indumenti indossati dal mingherlino Ben Foster?) e il cast multietnico scelto assai bene.

L'attore due volte premio Oscar per Philadelphia (1993) e Forrest Gump (1994) è un totem al servizio della storia mentre Felicity Jones esplode letteralmente nella seconda parte (dove sembra tornare quella di Like Crazy) e Irrfan Khan si produce in una prova tutto humour ed eccentricità nei panni del misterioso Rettore del Consortium. Quello che esce meglio dal film in termini di coolness è proprio lui mentre la coppia Tom Hanks-Sidse Babett Knudsen ci fa venir voglia di vedere una love story con loro due in scena dal primo all'ultimo minuto.

Ricapitolando: metà action thriller dove la crittografia sembra più pretestuosa che mai (eppure è sempre divertente vedere questo Indiana Jones sovrappeso e senza frusta scoprire sempre tutto dietro quadri e sculture) e gran finale con una toccante pietas nei confronti dei cattivoni (nel libro la comprensione di Brown nei loro confronti è ancora più enfatizzata da un finale diverso nei toni, ma in fondo non nello spirito, rispetto al film). Sia per soggetto che per cast (bravi anche Omar Sy, Ida Darvish e Ana Ularu) che per regia di Howard... è il miglior film con Robert Langdon protagonista.

Come ne esce la nostra Italia? Bella da vedere ma piuttosto presa in giro per tutto il film. Purtroppo a livello internazionale siamo ancora derisi sia dal punto di vista sessuale che per quanto riguarda l'efficenza delle nostre forze dell'ordine. Agli occhi del mondo, e di Hollywood, l'Italia di ieri è Arte e Bellezza mentre l'Italia di oggi è ridicola... e piuttosto infernale.

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