Incastrati (stagione 2): la recensione
Ficarra e Picone non cambiano la direzione di Incastrati con la seconda stagione, portandosi dietro tutti i pregi e gli stessi difetti.
La recensione della stagione 2 della serie Incastrati, in arrivo il 2 marzo su Netflix
Un ritorno semplice che guarda al passato
Come tradizione vuole saranno proprio i due inetti, bravissimi a sbagliare ogni mossa, a mettere in crisi i clan di Cosa nostra. Ficarra e Picone sono maschere comiche che guardano alla semplicità del passato, con il loro essere litigiosi eppure stretti come fratelli, due caratteri opposti che si completano. La loro potenza caotica sarà fatale per un sistema fatto di guardie e ladri, di regole rigide, di onore e tradizioni. Una risata li distruggerà?
La storia riprende da dove si era interrotta
La seconda stagione di Incastrati infatti continua ad adottare il linguaggio della commedia degli equivoci più classica e teatrale possibile, con gli stessi punti di forza e i difetti dei primi episodi. Prosegue la vicenda del caso Gambino. Questa volta Salvo e Valentino sono vittime di Tonino Macaluso e del boss Padre Santissimo, che era riuscito a fuggire dalla polizia. Li ritroviamo esattamente dove li avevamo lasciati. Gli intrecci quindi non sono finiti: entra in scena la mamma di Valentino, si aggiungono nuove rivelazioni, nuovi fraintendimenti amorosi, e continua l'infinita sequenza di colpi di scena e ribaltamenti.
Gli equivoci sono uno strumento efficace e affascinante se usato per far prendere direzioni impreviste alla trama, intrecciando e annodando le cose per diversificare. In Incastrati invece questi portano sempre al centro, alla conservazione dello status quo. Non c'è altra soluzione per permettere alla serie, che già sembrava alle corde nella prima stagione, di poter coprire un tempo così ampio. Gli episodi durano solo trenta minuti e l’impressione è che siano ancora troppi.
Una serie incastrata nella sua mancanza di originalità
Incastrati dagli equivoci e incastrati dalla formula, Ficarra e Picone faticano a trovare la grinta comica che invece emerge dai loro film migliori. La comicità è formulaica, basata su tormentoni e su giochi di parole, su situazioni serie che si risolvono sempre con una soluzione sciocca. C’è ovviamente il cibo come strumento per generare battute che funzionano solo in Italia (dato il nostro rapporto con la cucina). Non manca l’autorevolezza assoluta della mamma in un mondo maschile di mammoni. Si aggiungono due giornalisti inviati rivali che raccontano la vicenda in televisione. Che quello bello dei due si chiami Bellomo è solo uno dei tanti nomi parlanti.
Si replica persino il cliché dell’angelo buono e l’angelo cattivo consigliere. Qui appaiono nella forma di Salvo hippy, Salvo punk e... Salvo donna (ma perché questo terzo?).
Per la seconda stagione di Incastrati avrebbe giovato un cambio radicale. L’idea di due personaggi incastrati dalla situazione sfortunata in cui capitano per ingenuità non va certamente buttata, ma lo scarso materiale narrativo avrebbe richiesto un approccio antologico, cioè cambiare ogni stagione i personaggi e le trame, tenendo gli equivoci e la comicità tipica del duo comico e applicandola a toni e storie diverse.
Incastrati, invece, piacerà non di più e non di meno rispetto alla parte uno, continuando ad essere un prodotto simpatico allungato fino all’estremo tanto da diventare presto insipido. Si conferma così l’impressione che l’errore più grande di Ficarra e Picone sia proprio nel formato scelto.
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