In Treatment - Settimana 1: la recensione

La recensione della prima settimana di In Treatment, la serie trasmessa su Sky con Sergio Castellitto

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Una stanza, due persone che parlano e una buona scrittura: basta questo ad intrattenere con intelligenza e a costruire un prodotto di qualità. Lo sa bene Hagai Levi, che nel lontano 2005 con BeTipul ha ideato una formula seriale talmente di successo da essere esportata ed adattata in numerosi Paesi, dagli Stati Uniti (qui la HBO con In Treatment ne ha tratto la versione più celebre) all'Argentina, dal Giappone alla Serbia. L'adattamento italiano, prodotto dalla Wildside e in onda da poche settimane su Sky, ne è dunque l'ennesima incarnazione e ne ricalca abbastanza fedelmente, almeno fino agli episodi andati in onda finora, la struttura e una serie di soluzioni narrative.

In Treatment - Sergio Castellitto
Riprendendo il titolo della versione americana, e quindi scegliendo di non tradurre nella lingua nostrana il titolo, forse per ricreare una maggiore familiarità con quanti avessero già conosciuto l'adattamento con Gabriel Byrne, In Treatment, per quanti invece fossero all'oscuro del soggetto e della sua particolare narrazione, tratta il tema della psicoterapia. Partendo da una prospettiva la più realistica – senza sfociare nel documentaristico comunque – e asciutta possibile, lo show ha un proprio ideale arco narrativo settimanale composto da cinque puntate che illustrano lo svolgimento di altrettante sedute psicoterapeutiche, ognuna di mezz'ora, ognuna dedicata ad un personaggio specifico che tornerà la settimana seguente lo stesso giorno.

Lo sguardo distaccato è quello dell'analista Giovanni Mari (Sergio Castellitto) che interagisce nell'ordine con Sara (Kasia Smutniak), donna in crisi col suo uomo e al tempo stesso coinvolta in un transfert con lo psicoterapeuta, Dario (Guido Caprino), carabiniere ed ex infiltrato in un'organizzazione criminale, Alice (Irene Casagrande), una ragazza vittima di un incidente ma sospettata di tentato suicidio, Pietro e Lea (Adriano Giannini e Barbara Bobulova), coppia in crisi, e Anna (Licia Maglietta), ex supervisore e terapeuta di Giovanni.

In larga parte l'identità del prodotto è ricalcata sulle linee guida di quello che, sotto molti punti di vista, potrebbe quasi essere definito un format. Ennesimo epigono del prodotto originale, In Treatment ne condivide praticamente tutte le storyline di base (fa eccezione quella del carabiniere, ma che comunque ha molti punti in comune, a partire dai dialoghi, con quella che è andata a sostituire), ma non solo. Ancora più approfonditamente, è possibile vedere come addirittura alcune linee di sceneggiatura siano molto simili (se non uguali) a quelle della versione americana. Un esempio su tutti: il caso di Sara che introduce un particolare episodio di natura sessuale con le stesse parole, oppure la paziente che racconta come qualcuno le abbia detto che "la tristezza le dona".

I ristretti spazi di manovra per costruire una propria identità sono dunque innanzitutto quelli che si riserva la regia di Saverio Costanzo (La solitudine dei numeri primi) che piuttosto che puntare tutto sul gioco di sguardi tra i due/tre interpreti della scena sceglie anche di coinvolgere l'ambiente che li circonda, a tutti gli effetti co-protagonista della scena. Ed ecco dunque la telecamera che si muove intorno ai personaggi, li circonda, si allontana per indugiare su un particolare di scena (lo studio è pieno di modellini di navi) e poi ritorna rapidamente sui primi piani a sottolineare un'espressione del corpo. È proprio in quest'ultime infatti che le linee di dialogo non molto originali prendono vita e significato (spesso celato o da interpretare).

A questo proposito è bello confrontare i diversi approcci del terapeuta nei confronti dei vari pazienti, con sfumature che vanno dalla postura (più distaccata e "professionale" ad esempio nel caso del carabiniere e più vicina e "intima" nel caso della ragazza) al vestiario e contornare tutto con piccoli accorgimenti come lapsus illuminanti, scatti improvvisi, domande che celano altre domande. Lodi sparse a tutto il cast, ovviamente con un protagonista che svetta su tutti gli altri. Insomma la sensazione è che si sia fatto un ottimo lavoro di ricostruzione e adattamento del materiale.

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