In the Fire, la recensione

C’è seriamente da mettersi le mani nei capelli da quanto sia scritto, montato e diretto male In the Fire di Conor Allyn.

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La recensione di In the Fire, al cinema dal 14 settembre

C’è seriamente da mettersi le mani nei capelli da quanto sia scritto, montato e diretto male In the Fire di Conor Allyn. Ambientato in una hacienda cilena di fine Ottocento, In the Fire si colloca tra il dramma borghese e l’ambizione western, presentando come protagonista una giovane psicologa newyorkese (interpretata da Amber Heard) che viene chiamata a curare un bambino, Martin, figlio di un ricco proprietario terriero.

Fin qui niente di strano, se non fosse che dall’incipit del film non si capisca chi e perché abbia chiamato la dottoressa visto che il padre, Don Marquez, subito si rivela ostile alla “nuova scienza”e il bambino lo vuole curare perché è convinto sia il male e non vuole in alcun modo una donna a curarlo. Questo nodo è logicamente irrisolvibile a fa crollare tutto, e la singhiozzante narrazione del film si dispiega come un mero susseguirsi di scene sterotipiche, sentite e piene di pathos fino al comico involontario, che non hanno alcun nesso causa-effetto e che arrivano a conseguenze comicamente catastrofiche.

Il conflitto che In the Fire tenta di innestare (e questa è l’unica cosa chiara), è quello tra scienza e religione. C’è infatti un prete “buono”, che si converte anche (ma solo lui sa perché e quando) e uno invece “cattivo”, che fa le veci del popolo arrabbiato. In mezzo c’è il padre, che sebbene odi la psicologa e la cosa sembra sia reciproca, non si privano di piacevoli incontri privati a lume di candela. La controparte antagonista, e qui starebbe il tema del film, è convinta che le piaghe bibliche che stanno affliggendo la loro terra (es. l’invasione di locuste) siano colpa di Martin, che la psicologa difende come “sociopatico”. Presto, però, Martin mostra di avere veramente dei poteri paranormali. Nonostante ciò la psicologa non riesce a capire niente di quello che sta succedendo (proprio come noi), perché continua a portare avanti una battaglia di logica e scienza, ripetitiva nei toni e nelle scene, che non si collega in alcun modo con questo lato più “metafisico” del bambino.

A peggiorare il tutto ci sono poi le battute, agghiaccianti nella loro faciloneria e inutili per raccontare niente se non sentimenti grossolani che sono già stati abbondantemente dimostrati nelle numerose scene precedenti. Ad esempio il prete, dopo che la psicologa si è presentata davanti alla chiesa con un libro di psicologia, le urla con voce roboante: “Il bambino è in combutta con Lucifero! Ha cospirato per portare qui la carestia!”. A questo la psicologa risponde a muso duro e quasi piangendo: “La medicina moderna lo salverà, nessun prete o delirio sull’apocalisse!”.  A seguire, tre drammatiche frustrate alla psicologa davanti alla chiesa da parte dello stesso prete.

Il forte dubbio che viene guardando il film, e che forse spiegherebbe tale pasticcio, è che si sia trattato di una produzione molto più grossa ed ambiziosa (la scenografia, il numero di comparse, i costumi e anche la fotografia sono infatti parecchio curati) che per un qualsiasi motivo è stata tagliata all’inverosimile e montata con l’accetta, lasciando di sé solo pezzi sparsi e incompatibili tra di loro. Un disastro inaccettabile su tutti i fronti.

Siete d’accordo con la nostra recensione di In the Fire? Scrivetelo nei commenti!

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