In nome del cielo (Under the Banner of Heaven): la recensione

In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) è una serie che naviga in acque agitate e che tratta un tema molto delicato con estremo tatto

Condividi

Tratto dall'omonimo romanzo sull'origine della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, scritto da Jon Krakauer nel 2003 che, in quanto non-Mormone, scatenò un vero vespaio ai tempi, In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) è un'ambiziosa serie in 7 episodi creata da Dustin Lance Black (vincitore dell'Oscar per la sceneggiatura di Milk) che, a differenza di Krakauer - e non è particolare di poco conto - è cresciuto nella fede mormone, cosa che si evidenzia nel reiterato sforzo dello show di distinguere in maniera definita Mormonismo e fondamentalismo religioso.

LA TRAMA DI IN NOME DEL CIELO (UNDER THE BANNER OF HEAVEN

Il Detective della Polizia di Salt Lake City Jeb Pyre (Andrew Garfield), membro della numerosa comunità Mormone della città e dello stato, assieme al suo partner, il non-Mormone Bill Taba (Gil Birmingham), vengono chiamati sulla scena di un terribile delitto. Le vittime sono Brenda Lafferty (Daisy Edgar-Jones) e la figlioletta di soli 15 mesi, brutalmente uccise nella loro casa. La bambina e la giovane madre, figlia di un vescovo Mormone e sposata con Allen Lafferty (Billy Howle), che verrà sospettato per primo del delitto, è laureata presso la Brigham Young University, un'università Mormone e, nonostante la sua posizione nella comunità, è considerata fin troppo indipendente dalla tradizionale famiglia dei Lafferty, di cui entra far parte e considerata come i Kennedy dello Utah. I Lafferty sono guidati da un patriarca abusivo, Ammon (Christopher Heyerdahl), che contribuisce a creare pesanti divisioni all'interno della sua numerosa famiglia, che contribuiranno significativamente alla sua spaccatura, con lo stesso Allen che finirà per rinunciare alla propria fede per il bene della moglie e della figlia, mentre alcuni dei suoi fratelli prenderanno una strada decisamente opposta e molto più inquietante.

L'indagine sull'orrendo delitto al centro di In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) diventa così, per lo più, la spinta per parlare e mettere in discussione il fondamentalismo religioso, il silenzio delle istituzioni Mormone e soprattutto la violenza insita nella Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, il tutto visto attraverso gli occhi di un uomo fortemente osservante, il cui credo verrà messo alla prova e scosso dall'indagine che sarà chiamato a dirigere.

NON CHI, MA PERCHÉ

La domanda a cui In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) cerca di dare una risposta non è quindi tanto chi abbia commesso il terribile delitto, considerato come la storia porterà immediatamente a concentrarsi sui diversi membri della famiglia Lafferty, ma perché alcuni di essi, come Ron (Sam Worthington) e Dan (Wyatt Russell), si convertano e diventino dei fondamentalisti religiosi, disposti ad uccidere pur di far prevalere le proprie malsane idee, volte a sfidare l'autorità e sottomettere le donne, nel tentativo di far prevalere un immaginario diritto divino ad essere considerati, in quanto uomini, esseri superiori.

Dal punto di vista narrativo la serie tende a saltare da un periodo ad un altro, a volte in maniera forse troppo confusionaria, per passare dal presente ed alle indagini di Jeb e Bill e tornare poi indietro nel tempo ad analizzare i rapporti tra i fratelli Lafferty e le distorte dinamiche di famiglia, fino a giungere - e probabilmente questa è la parte meno riuscita di In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) - al 19° secolo, quando Joseph Smith (Andrew Burnap) fondò il mormonismo e lui, Brigham Young e molti credenti mormoni vennero massacrati per la propria fede. Tutti questi momenti hanno il cui chiaro intento di dare una collocazione storica al vero protagonista dello show, il Mormonismo, ma finiscono anche per risultare eccessivamente dispersivi, oltre ad avere la tendenza a dare troppe cose per scontate, come se tutto il pubblico dovesse già avere un'infarinatura sulla storia d'origine di questa religione.

Un altro curioso aspetto di questo show è che non fa alcuno sforzo per inserire la narrazione nel contesto storico e temporale in cui si svolge, pur essendo il delitto avvenuto negli anni Ottanta - quegli stessi anni tornati prepotentemente di moda grazie a prodotti come Stranger Things e Top Gun Maverick - la sensazione e probabilmente la volontà espressa dall'autore è infatti quella di raccontare una storia senza tempo che, come tale, potrebbe essere destinata a succedere in qualunque momento e, soprattutto, forse, persino a ripetersi.

LA CRISI DI FEDE DI JEB

Ma In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) è anche e soprattutto la storia della crisi di fede di Jeb Pyre, un uomo pio, che conduce una vita tranquilla con la moglie e con le figlie e che, pur conoscendo la violenza in quanto poliziotto, si ritrova completamente spiazzato dalle azioni compiute da uomini che provengono dalla sua stessa fede, ma anche da quelle delle stesse autorità religiose nelle quali, fino a poco tempo prima, confidava completamente. Ciò a cui Dustin Lance Black fa tuttavia particolare attenzione è non trasformare mai davvero il Mormonismo nel "cattivo" della storia, quanto piuttosto quegli uomini che ne hanno storpiato il messaggio il che, a volte, rende la performance di Garfield quasi trattenuta, caratterizzata da lunghi silenzi ed espressioni sfuggenti, senza quasi riuscire mai a trovare una vera e propria valvola di sfogo nei confronti di qualcosa che considera, per sua stessa definizione, l'essenza stessa del male.

In nome del cielo (Under the Banner of Heaven) arriverà in Italia il 27 luglio su Disney+, all’interno di Star.

Continua a leggere su BadTaste