In difesa di Jacob: la recensione

In difesa di Jacob è un buon thriller che elabora la sua storia drammatica con un elemento di inquietante incertezza

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In difesa di Jacob: la recensione

La premessa di In difesa di Jacob ricorda quella del thriller anni '90 Prima e dopo e, curiosamente, in entrambi in casi il figlio della coppia ha lo stesso nome. Basta questo paragone a mostrare come, in effetti, la vicenda della miniserie trasmessa da Apple TV+ non brilli per complessità o originalità. Eppure, forse perché così immediato, il tema della serie riesce a coinvolgere fin da subito lo spettatore e a trascinarlo in una morsa che si mantiene tesa per tutte le otto puntate. Una vicenda che in più di un momento sfida la propria verosimiglianza, ma che riesce a convincere grazie ad un cast forte e ad un elemento di inquietante incertezza.

Si parte con la classica famiglia ideale, benestante, senza un problema al mondo. I genitori del protagonista – perfetti e bellissimi fin dal casting, Chris Evans e Michelle Dockery – sono lo specchio di ciò che ci si aspetterebbe da una famiglia senza segreti né crepe. In realtà, come in Pastorale Americana, basta una scintilla a far saltare ogni equilibrio e ogni maschera. Il figlio Jacob (Jaeden Martell) è accusato dell'omicidio di un suo coetaneo. Lo stigma sociale, la condanna immediata da parte della comunità, i dubbi personali degli stessi genitori aprono le porte ad un processo che riserva parecchie sorprese e colpi di scena.

Il protagonista della serie non è mai Jacob. Non potrebbe esserlo, perché altrimenti verrebbe a cadere tutta la premessa della storia. Colpevole o innocente? La prospettiva sulla storia allora ricade sulle spalle dei due genitori, e soprattutto sul padre Andrew. Personaggio costruito in ogni aspetto per essere integerrimo, al di sopra di ogni sospetto, quasi una maschera di perfezione ambulante. Ma, appunto, pur sempre una maschera. Ci sono dei trascorsi tragici nel suo passato dai quali ha cercato di distaccarsi il più possibile, anche intraprendendo la carriera di procuratore distrettuale. E c'è quindi il fantasma del male latente che ritorna, ma sotto forma di un terribile crimine di cui potrebbe essersi macchiato il figlio.

Sua moglie Laurie potrà lasciarsi andare più spesso al dolore, al dubbio, alle lacrime. Non lui. Perché lasciarsi andare significherebbe ammettere la propria fragilità, la possibilità di aprirsi ad una corruzione che aveva giurato di chiudere fuori dalla propria vita. In difesa di Jacob non racconta tutto questo nel modo più sottile o elaborato, anzi, però ha un'idea precisa di cosa vuole raccontare. Non è un caso se l'aspetto investigativo è relegato ai margini o praticamente assente. Invece si dà ampio spazio al discorso della predisposizione genetica alla mancanza di empatia e a comportamenti deviati. Sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano rispetto al processo in sé, ma che funzionano se teniamo sempre ben fisso il punto di vista di Andrew sulla faccenda.

Le prove di tutto il cast donano forza e concretezza ad un intreccio che arrischia qualche esagerazione e inciampo sul finale. Da non sottovalutare la scrittura e l'interpretazione sfuggente di Jacob, puntellata ora da una barzelletta ora da uno spunto nervoso lasciato lì e mai totalmente spiegato. In questi margini di incertezza, in queste zone di grigio, In difesa di Jacob si eleva oltre i limiti della propria storia e riesce a diventare sinceramente inquietante.

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