In Between Dying, la recensione | Venezia 77

Ciò che rimane di In Between Dying non è la riflessione, che davvero non si riesce ad afferrare, ma solo tanta, tanta, tantissima nebbia

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Se c’è un aggettivo che davvero può descrivere In Between Dying, film del regista azero Hilal Baydarov, è enigmatico. L’enigmaticità non è però usata da Baydarov in modo evocativo, ma in senso totalmente criptico, tanto che del film si fa davvero fatica anche solo a seguirne la storia – per non parlare del senso.

In Between Dying parla di un uomo, Davud, in cerca di sé stesso. Davud vuole ritrovare la sua famiglia, ma durante il suo viaggio in moto tra i grandi paesaggi dell’Azerbaijan viene interrotto da una serie di incontri che lo portano fuori strada. Davud è infatti inseguito dagli uomini di “il Dottore”, il quale lo vuole morto per avere ucciso uno dei suoi. Nel contempo, mentre fugge da questi, Davud incontra diverse figure di donne in cerca di una liberazione, e si ferma ad aiutarle nella loro scoperta di una nuova consapevolezza. Grazie a questi incontri sarà pronto a trovare la vera risposta: ma forse per lui sarà già troppo tardi.

Sebbene In Between Dying cerchi in tutti i modi di essere una profonda riflessione sul senso dell’esistenza, ciò che davvero traspare dal film è soltanto una grandissima confusione. Di trama, innanzitutto, ma anche di visione estetica, che si perde nell’ingenuità dello sguardo, dei tempi scenici, della direzione degli attori. Tutto in In Between Dying sembra andare nella direzione sbagliata.

E sebbene il tentativo di dare una personalità al film attraverso l’uso ripetuto del montaggio interno – ovvero il seguire le sequenze in profondità di campo, tenendo la stessa inquadratura dall’inizio alla fine, in cui è il movimento dei personaggi che entrano ed escono a cambiare la scena – faccia sperare in una visione più decisa, ecco che questa scelta viene a perdere di senso quando accostata a sporadici primissimi piani (a spezzarne il ritmo) e scene oniriche ripetute ossessivamente, uguali a sé stesse, dove il personaggio riflette a gran voce sul suo dilemma.

Se dell’evidente artigianalità di base non si può fargliene una colpa, questa non può comunque scusare la mancanza di tutto il resto. E non aiuta di certo la colonna sonora, un ipnotico sottofondo sempre uguale a sé stesso, che tra l’altro viene interrotto bruscamente nei momenti più sbagliati. E il paesaggio? Neanche quello c’è. È tutto ricoperto da uno spesso stratto di nebbia, appiattito.

Di In Between Dying ciò che rimane allora non può essere la sua riflessione, che davvero non si riesce ad afferrare, ma solo tanta, tanta, tantissima nebbia.

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