Improvvisamente Natale, la recensione

Film commission cinema al livello più alto, puro pretesto per inquadrare valli in cui attori svogliati recitano da seduti copioni da fiction

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Improvvisamente Natale, il film disponsibile su Prime dal 1 dicembre

“Film commission cinema” dei più puri e incontaminati, concepito intorno alle sue location, fondato sulle panoramiche dei droni e scritto intorno alla possibilità di esplorare luoghi e riprendere località. Tutto di Improvvisamente Natale è centrato sulla location, il resto (l’intreccio, lo svolgimento, i personaggi e le gag) sono palesemente secondari, raffazzonati e impostati di fretta. Questa storia che poteva essere ambientata ovunque, anche in città, diventa un film fatto di immagini delle montagne e delle valli, dei laghi e delle vedute. Il resto è routine.

La storia è infatti quella di mille fiction: una famiglia con bambina va a trovare d’estate il nonno proprietario di hotel in zona montana, padre e madre sono in crisi, la bambina desidera che sia Natale per poterlo passare uniti e il nonno decide di fingere che sia Natale, organizzando addobbi e cenone nonostante tutto. Saranno coinvolti il concierge, cognati e parenti per far rientrare un cast di comprimari da Paolo Hendel aNino Frassica, fino a Anna Galiena e Gloria Guida. Ognuno con la sua piccola bega familiare. Praticamente il format di Io che amo solo te, spostato in montagna premendo ancora di più l’acceleratore sulla provincia.

Il punto di vista assunto svela il target: i nonni. È una storia di tradizione e rimanere insieme, una che guarda gli adulti come si guardano dei figli, fatta di buoni sentimenti senili e aggiustare il proprio passato in una confezione da televisione. Questo è proprio il tipo di film in cui preferibilmente si recita da seduti, impostando la manopola dell’impegno su 1 massimo 2 (Antonio Catania in particolare attraversa il film in uno stato di dormiveglia, come se la sua anima si fosse separata dal corpo per volare altrove) e nel quale anche Francesco Patierno, regista dotato di testa e visione, rifiuta categoricamente di inserire qualcosa di proprio o personale ma porta a casa tutte le scene.

Non è tanto una questione di risultati (pessimi) ma proprio di impostazione. Qui l’obiettivo non è mai fare un buon film, raccontare una buona storia o dire qualcosa, ma massaggiare lo spettatore con una serie di linee narrative una più nota dell’altra, una meno impegnativa dell’altra, una più usuale, vista mille volte e abusata dell’altra. Su tutte però, va ammesso, una menzione speciale la merita quella dei bambini che organizzano sagaci trucchi e trabocchetti per spaventare possibili acquirenti asiatici dell’hotel. Un momento che associa benissimo la scrittura e direzione svogliata che caratterizzano il film alla grande tradizione dei pessimi bambini attori italiani.

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