Immortal, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020
Un'idea affascinante non viene sviluppata in modo convincente in Immortal, film argentino che spreca una buona occasione con interpretazioni approssimative e un epilogo surreale
Gli eventi prendono il via con il ritorno di Ana (Bélen Blanco) a Buenos Aires per occuparsi dell'eredità del padre, morto mentre era all'estero. La ragazza scopre dove si trova il dottor Benedetti (Daniel Fanego), il miglior amico del padre, e lo scienziato le spiega di essere convinto di aver trovato la porta verso una nuova dimensione, dove potrebbe incontrare nuovamente anche il padre. Ana è scettica, tuttavia tutto ciò in cui crede potrebbe essere messo in discussione.
Lo spunto scientifico alla base del racconto, spiegato in modo chiaro tramite gli esempi compiuti dal dottor Benedetti ad Ana, inizialmente attira la curiosità e risulta un espediente utile a sviluppare la storia della giovane protagonista. Il passaggio tra le due dimensioni è inoltre ben gestito nelle prime fasi, gettando però le basi per degli sviluppi che non vengono mai esplorati, mantenendo la storia purtroppo statica su questioni sentimentali e personali che mettono in secondo piano la dimensione sci-fi senza però offrire profondità e spessore alla dimensione umana del racconto.
La visione di Spinder alla base di Immortal non risulta in grado di sostenersi a lungo, sembrando materiale più adatto a un corto o un mediometraggio che avrebbero permesso di non avere passaggi a vuoto e cali di interesse.
Immortal non sa andare oltre l'inizio promettente e l'atmosfera suggestiva, perdendo l'occasione di proporre un approccio emotivamente coinvolgente all'idea dell'esistenza di dimensioni parallele e alternative.