Immaculate, la recensione

Un veicolo per ridefinire la personalità attoriale di Sydney Sweeney diventa in Immaculate un horror generico elevato dagli attori italiani

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Immaculate, il film con Sydney Sweeney girato in Italia in uscita in sala l'11 luglio.

Guardare Immaculate dall’Italia è un’esperienza diversa rispetto a quella di chi lo guarda senza parlare italiano. Infatti, una buona parte del film, specialmente la prima, si basa sul fatto che la protagonista, una novizia americana che viene a Roma per diventare suora, affronta un percorso di orrore e gravidanze indesiderate, trovandosi spaesata perché non parla la lingua. Quasi tutti intorno a lei parlano italiano e lei non capisce; qualcuno traduce, ma rimane sempre un’esperienza alienante fino all'arrivo di Benedetta Porcaroli, l'unica possibile amica che parla inglese, e di un prete affascinante che può fare da interprete. Lo spettatore straniero che non capisce l’italiano è coinvolto in questo senso di isolamento e trova conforto in queste due presenze, mentre chi parla italiano lo percepisce molto meno.

L’italiano è quindi parte integrante dell’atmosfera che Immaculate vuole creare, un’atmosfera come sempre falsa e fantasiosa anche quando cerca di replicare meccanismi vaticani. In particolare, c’è una scena assurda di una festa dopo il noviziato, mesta perché è una festa di suore, ma con il vino bevuto in boccali simili a quelli per la comunione. La qualità un po' dozzinale di questo immaginario conta poco, perché in quanto tale dice qualcosa su chi l’ha creato. Immaculate è un film prodotto da Sydney Sweeney, ovvero dalla sua stessa protagonista e dal suo fidanzato. È un film realizzato perché chi lo interpreta pensa di aver bisogno di un ruolo simile, uno da vittima in stile Rosemary’s Baby, ma anche un film in cui tutti le dicono quanto sia bella.

Fin dal suo arrivo a Roma (in un aeroporto con colonne romane e marmi, come fosse un palazzo del ‘600), ogni persona sottolinea la sua bellezza. Questo ha una sua utilità nella trama, perché anche per questa ragione sarà scelta come destinataria di una gravidanza che non desidera, considerata per questo immacolata. È anche un atteggiamento che conferma la natura del film come veicolo per la sua protagonista. Lei è sempre inquadrata, passa da pulcino bagnato a donna d’azione che cerca di liberarsi, cammina in vestaglia di notte con la candela (siamo nel presente, ma trattandosi del Vaticano di notte si gira con la camicia da notte e le candele), finisce nei sotterranei vaticani, allucinata dall'orrore nei sogni e dalla violenza nella realtà.

Immaculate non è certo un horror raffinato, anzi, fatica a dare coerenza ai suoi momenti più fumettosi (i laboratori, le ampolle, e bocce con i feti morti dentro...), ma presenta un cast di attori italiani di supporto che non è niente male e che non sembra fuori luogo in una storia americana, anzi è l’unica cosa che gli dà un po' di credibilità e serietà. In particolare, Dora Romano, attrice eccezionale che il cinema italiano ha scoperto negli ultimi anni (L’amica geniale, Bang Bang Baby e È stata la mano di Dio), interpreta una suora plagiata, integerrima e pronta a tutto per credo e fede ciechi, ed è una presenza di vero orrore all’italiana: spaventosa e realistica.

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