Imaginary, la recensione

Un amico immaginario che non è poi così amico è lo spunto che Imaginary sviluppa con molta convenzionalità ma a tratti anche vera paura

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Imaginary, il film dell'orrore di Jeff Wadlow in sala dal 14 marzo

La casa all’interno della quale vivere la maledizione in pieno (in famiglia!) c’è, è quella all’interno della quale non solo risiede il malvagio, ma in cui ci sono anche i segreti per respingerlo, come nella tradizione degli horror Blumhouse. C’è anche l’oggetto malefico, quello che convoglia tutto il male e che deve mettere paura per antitesi, sembrando cioè innocente. E c’è la situazione che causa stress nella vita della protagonista, il problema che crea delle tensioni tra personaggi: cioè il fatto che lei è entrata in una famiglia che già esiste, seconda moglie di un uomo che aveva già due figlie, una delle quali di 15 anni che non l’ha mai accettata. Siamo insomma nel formulaico più puro, il tipo di cinema che applica una struttura molto rigida e cerca la propria personalità (quando la cerca) nelle pieghe e nelle variazioni dal solito.

Imaginary potrebbe essere il miglior film di Jeff Wadlow, anche se non è proprio eccezionale, questo perché la filmografia di questo regista è da rabbrividire (ma non di paura). In pochi anni si è reso responsabile di film senza un equilibrio se non proprio senza un perché, come Obbligo o verità o Fantasy Island. Stavolta invece c’è un equilibrio proprio diverso tra stupidità spinta (che non manca) e vera paura. Stavolta la storia scema di una bambina con un amico immaginario che tutti sottovalutano e invece è un demone che la vuole rapire, trova almeno nella sua seconda parte un po’ di paura reale attraverso una costruzione di stanze, ambienti, pupazzoni e una buona tensione. Questo non cancella la dozzinale ostentazione di dialoghi e personaggi ridicoli, sia chiaro, ma almeno fa il suo.

Queste donne di generazioni diverse (oltre a figlie e protagonista c’è anche la più classica delle vecchie che sanno tutto della maledizione) prese in un canovaccio rispettano tutte le regole del genere fino a che fa comodo al film, che ha l’intelligenza di giocare con gli spettatori, convincendoli di essere sul solito percorso e mettere così a segno a un certo punto un piccolo colpo di scena che funziona. Non è solo un trucco, ma anche una maniera per spiazzare anche noi e cambiare la centralità di alcuni personaggi, quindi anche la storia che il film sta raccontando. E nulla più di non sapere crea un senso di paura e tensione. 

È quella la parte migliore di Imaginary, quando tutti finiscono nel regno dell’immaginazione, creato con una grande ingenuità (pieno di porte e fatto come un dipinto di Escher) ma indubbia efficacia nei suoi momenti di paura. Il resto, ancora, andrà a parare dalle parti del solito, ma almeno in un cinema, almeno al buio e almeno per un po’ di scene Imaginary (un po’ di) paura la fa.

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