I'm Dying Up Here 1x08, "The Unbelievable Power of Believing": la recensione
La nostra recensione dell'ottavo episodio di I'm Dying Up Here
All'inizio dell'ottavo episodio di I'm Dying Up Here vediamo Adam da piccolo, ficcato dai fratelli (e dal padre!) nella lavatrice fino a quando la madre non lo tira fuori. Piange e si lamenta del fatto che gli avevano promesso che sarebbe stato divertente ed è lì che, con un’enfasi davvero fuori luogo ed esagerata ma purtroppo accompagnata e avallata da luci che arrivano da dietro e danno l’idea della memoria dorata, la mamma gli dice che solo gli scemi credono a ciò che gli viene detto senza metterlo in questione e che lui deve imparare a capire quando qualcuno ti sta mentendo guardandolo negli occhi.
Tutti si trovano di fronte all’interrogativo “Cosa fare?”: seguire chi ti promette denaro ora o chi ti promette successo domani?
È così per Adam che scalpita, chiede a Goldie di essere passato di livello, ma lo è anche per Ron che forse ha ottenuto un ruolo in una sit-com e contemporaneamente in un momento di grande droga riesce anche a fare sesso. È così per Sully, che non riesce più a vivere la sua vita domestica e brama di tornare a fare il comico. E soprattutto è così per Nick, la cui trama si fa sempre più importante.
I’m Dying Up Here in diversi momenti si è dimostrato parente vicino degli show televisivi degli anni ‘80 e ‘90, ne condivide lo spirito di fondo, molto familiare e tranquillizzante, ne condivide l’estetica controllata e, contrariamente a tutte le serie di nuova generazione, metodicamente evita il contenuto disturbante o i personaggi duri e negativi. Non è il ricettacolo del politicamente scorretto e delle figure deprecabili ma affascinanti, potenti e bastarde, che invece vogliono essere le altre serie. Come quelle di 20-30 anni fa I’m Dying Up Here è edificante. La storia di Nick Beverly sempre di più sembra diventare l’emblema di tutto ciò, specie sul lato della droga.
Nella puntata in cui Edgar decide di cambiare vita una volta uscito di galera, di dare via i suoi medicinali e le droghe (che in inglese si definiscono con lo stesso termine) regalandoli agli amici in una festa che subito diventa un trionfo di assurdità, Nick tocca con mano per l’ultima volta quanto gli stupefacenti stiano frenando la sua carriera. Invitato a cena a casa del suo nuovo possibile agente si presenta con la sua ragazza strafatta (ma non molesta) e viene cacciato. Capisce così di doversi liberare di lei in quello che dovrebbe essere un toccante e struggente addio ma riesce solo a essere un po’ puerile per quanto male è costruito (loro non sembrano drogati disperati, sono puliti e in forma, hanno belle facce e non sono poi così stonati).
Di nuovo emergono i difetti della serie. Sembra che ogni qualvolta decida di spostarsi sul sentimentale, sia per parlare di amore che di rapporti umani che di parentela, vada a pescare nel mondo della tradizione, degli affetti classici e del sentimentalismo a buon mercato. Non fa eccezione la maniera in cui viene gestita la storia di come Eddie sia stato friendzonato da Cassie e cerchi di liberarsene (generando gelosia da parte di lei).
Invece quando I’m Dying Up Here racconta di business, quando mette Goldie (l’unico personaggio valevole una serie insieme a Cassie) alle prese con il mondo degli uomini, intenta a trattare, pronta a fare di tutto per affermare quel che ha costruito, allora riesce ad essere uno show sensato, uno che oltre a mettere dei personaggi negli anni ‘70 riesce a dire qualcosa di universale.
“Goldie perché fai così? Perché ogni tanto non scendi a qualche compromesso?”
“Perché altrimenti sarei te”