Il visionario mondo di Louis Wain, la recensione

Il visionario mondo di Louis Wain è esso stesso qualcosa di positivamente visionario e fa dell’atto creativo e della poetica dello sguardo il suo vero motivo di interesse cinematografico.

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Il visionario mondo di Louis Wain, la recensione

Ci vogliono coraggio e una certa lucidità progettuale per riuscire a fare quello che il regista e sceneggiatore Will Sharpeha fatto, con successo, in Il visionario mondo di Louis Wain: ovvero usare il biopic non tanto per raccontare l’aneddotica storia di un individuo ma, soprattutto, per trasmettere in modo emotivo, viscerale e con un intenso studio formale ed estetico lo spirito di quella persona. Quasi come se la classica “storia vera” fosse una scusa per liberare la creatività e non l’obiettivo primario del racconto.

Dell’eccentrico borghese Louis Wain, che diventò famoso nell’Inghilterra vittoriana con i suoi disegni di gatti dagli occhi grandi (un Benedict Cumberbatch nel suo elemento) veniamo a conoscere sì la tragica vicenda personale (la grave malattia della moglie, qui interpretata teneramente da Claire Foy), ne cogliamo l’influenza sull’opinione pubblica e sul costume - fu infatti tra i primi a normalizzare la pratica di avere gatti come animali domestici -, ne intuiamo i grandi traumi psicologici che lo hanno perseguitato per tutta la vita. Ma ciò che alla fine rimane dopo la visione è essenzialmente la sensazione di essere entrati nel mondo interiore di questa persona.

Sia chiaro, non si tratta di chissà quale esperienza extra-sensoriale, ma la cosa che sinceramente colpisce di Il visionario mondo di Louis Wain è che Will Sharpe tramite un lavoro di linguaggio, per quanto integrato in un classico schema da biopic (con un racconto cronologico, che procede per ellissi per raccontare il più possibile i grandi eventi, dove sono indicati anche gli anni che passano e dove c'è pure una voce narrante, quella di Olivia Colman), fa un gioco soprattutto estetico. E lo fa decisamente bene.

Questo gioco consiste in uno studio millimetrico su ogni cosa visibile, e il suo evolversi va di pari passo con ciò che accade nella vita di Wain. Comincia in un mondo colorato, da carillon, con allegre carte da parati e luci dorate che illuminano gli ambienti e via via ci si sposta fluidamente in un mondo più acquerellato, che Sharpe fissa in visioni dal gusto paesaggistico e che raccontano l’idillio d’amore. Poi viene la psichedelia, il delirio elettrico che è il delirio mentale, dove i disegni dei gatti si fanno via via più schematici e dove, di pari passo, le immagini del film diventano più cupe, virano al blu. A volte vengono trattate come se venissero da una vecchia pellicola ricolorata, a rimarcare l’idea di passato e presente come un tutt’uno confuso nella testa del protagonista.

Allineando quindi l’eccentrica visione di Wain, naïf e sempre più cupa, a quella adottata dal film, Will Sharpe fa dell’apparato visivo lo strumento decisamente più importante per raccontare questa storia. In questo senso si può certamente dire che Il visionario mondo di Louis Wain è esso stesso qualcosa di positivamente visionario e che fa dell’atto creativo, della poetica dello sguardo - per quanto annacquata da un sentimentalismo a volte un po’ forzato - e dell’idea di arte come forma di sopravvivenza al dolore non solo il suo tema narrativo, ma il suo vero motivo di interesse (e di forza) cinematografico.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Il visionario mondo di Louis Wain? Scrivetelo nei commenti!

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