Il Tuttofare, la recensione
Film d'esordio come regista di Valerio Attanasio, Il Tuttofare ha ritmo e umorismo indiavolati e un senso che esiste a prescindere dalle risate
Questo non è accaduto in Smetto Quando Voglio e non accade in Il Tuttofare perché i due film hanno il medesimo sceneggiatore, Valerio Attanasio. Nel film diretto da Sydney Sibilia (solo il primo) aveva scritto il soggetto e la sceneggiatura assieme al regista, qui invece il regista è lui, all’esordio. Il Tuttofare sembra un prequel spirituale di Smetto Quando Voglio o quantomeno una storia ambientata nel medesimo universo condiviso, non c’entra nulla ma i temi e il mondo dipinto sono esattamente quelli. C’è un praticante di un principe del foro il cui lavoro è fargli da schiavo (ha anche un angolo cucina nell’ufficio in cui spadella per lui piatti preparati a mano) e superato finalmente il concorso da avvocato spera in un inquadramento migliore. Verrà invece trascinato in un vortice di schiavismo al rialzo, sempre più clamoroso e paradossale, in cui finirà per rischiare la vita affondando le mani nel mondo malato del “lavoro professionale”.
Ma anche al di là dell’intento satirico (e della capacità di saperlo incastrare in un film propriamente detto), Il Tuttofare è una commedia di finissimo artigianato che funziona come i migliori film drammatici.
All’interno della storia i personaggi ci sono presentati con schieramenti evidenti: i buoni e i cattivi. Tuttavia nel corso della storia lo sguardo che il film ha su di loro muta e spesso i ruoli si ribaltano. Attanasio ha la forza non comune di puntare il dito con fermezza, di saper indicare chiaramente cosa non vada, ma anche quella di comprendere e compatire la piccineria umana che guarda (e anche in questo sta molto del suo tono fantozziano). Così il povero praticante al pari dell’insolente e pretenziosa “studentessa” che gli viene imposta, lungo il film si svincolano dal loro personaggio e diventano persone. Addirittura anche il grande villain di Castellitto avrà un momento di misera compassione, uno in cui il mostro degli incubi di ogni precario diventa un essere umano.