Il truffatore di Tinder, la recensione

La storia di una truffa dalle proporzioni impressionanti è usata per raccontare il mondo femminile, i suoi bisogni, le sue insicurezze

Critico e giornalista cinematografico


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Il truffatore di Tinder, la recensione

Come si misura il documentario in stile Netlix, quello bigger than life in cui i fatti sono tra i meno plausibili immaginabili e lo svolgimento è una corsa all’accumulo di assurdità e follie? Quel tipo di documentario dalla cui storia sarebbe impensabile trarre un film di finzione perché è tutto troppo poco credibile per la fiction, tutto così assurdo e che solo un documentario con foto e video originali, con nomi veri e vere testimonianze delle persone coinvolte può essere accettato. Si valuta in base a quanto la sua storia ricalchi lo svolgimento dei racconti romanzati? In base a quanto esponga la stupidità umana o le debolezze umane? Per il valore iconico delle persone coinvolte? O ancora per il numero di volte che riesce ad evocare la domanda “ma come è stato possibile”?

Il truffatore di Tinder è esattamente quel tipo di documentario inafferrabile, in cui il racconto in sé è così avvincente da coinvolgere in un’unica grande cavalcata e in cui la gestione del mistero è molto semplice perché basta raccontare i fatti in ordine cronologico, scoprendoli assieme ai protagonisti della storia. Una donna (e poi una seconda e poi una clamorosa terza!) raccontano di come hanno incontrato un uomo su Tinder, un ricco affarista e ne sono state truffate. Premessa semplice da spiegare che diventa incredibile per le proporzioni, le dimensioni e la profondità dell'affare. E ovviamente per le ricadute.

Questo nuovo documentario dalla produttrice di Giù le mani dai gattini, è un viaggio nelle debolezze umane. Come già nell’altro non è la mente nera del colpevole ad affascinare ma la vulnerabilità di chi subisce, indaga e mette in moto gli eventi. Le donne vittime sono ritratti ordinari, borghesi e apparentemente non fragili. Come tutte le persone truffate è necessario un certo grado di creduloneria ma Il truffatore di Tinder cerca di superarlo, cerca di andare più a fondo e guardare e indagare tutti i meccanismi che scattano nella mente femminile e che rendono possibile la truffa. Cosa cercavano queste donne sole, cosa le ha convinte, su cosa facevano leva, che bisogno avevano da spingerle a credere così tanto in un uomo.

Felicity Morris sfrutta un racconto intrecciato, cronologicamente fedele allo svolgersi degli eventi, non teme di ingarbugliare la matassa e sa non glorificare mai il suo cattivo (che pure ha delle doti non comuni di organizzazione e di relazione umana). Sa bene che sta raccontando una storia di sentimenti in cui le donne sono protagoniste, una che se ha un parente nel cinema di finzione sono gli horror con le final girl, in cui è la capacità di subire, credere, spaventarsi e poi reagire alla fine che fa la differenza. Quindi con un pugno di soluzioni davvero eccezionali, Il truffatore di Tinder piega il documentario verso il revenge movie, calca la mano con grazia e guarda con un affetto coinvolgente le proprie vittime.
Così si valutano questi documentari: in base allo sguardo che poggiano sulle vittime e cosa questo ci dice su di loro.

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