Il treno dei bambini, la recensione: un'avventura nazional-popolare tra ricordi e speranza
Cristina Comencini, con Il treno dei bambini, ci guida in un viaggio tra la Napoli del Dopoguerra e la Modena industriale
Come può essere possibile che un uomo riceva da sua madre la notizia che la mamma è morta? Accade a un noto musicista pronto a esibirsi in un anno imprecisato del Dopoguerra (potrebbero essere gli anni '90).
Il film della Comencini è una bella avventura nazional-popolare tratta dall'omonimo libro di Viola Ardone. Attraverso le peripezie di un bambino alle prese con un nuovo contesto sociale Comencini racconta due tipologie di donne e società: la madre naturale fatalista e rassegnata al peggio in quel di Napoli e quella idealista, ma schiacciata anche lei in chiave più subdola dal maschio, dentro una Modena dove le signore si stanno sindacalizzando e qualcuna di loro può anche vivere da single senza essere considerata svergognata o snaturata. Anzi la regista è perentoria nel condannare il Sud per un Nord più sensibile, pronto all'ascolto e capace di rimettersi in gioco nei rapporti uomo-donna. Questa presa di posizione così netta un po' stupisce dentro un cinema italiano di solito attento a non scadere nel campanilismo.
Un buon 2024 per le sorelle Comencini. Stupendo Il tempo che ci vuole di Francesca. Più che discreto questo Il treno dei bambini della sorella maggiore Cristina.