Il Testimone Invisibile, la recensione
Un thriller con pochissima cura per i dettagli e per la scrittura, Il Testimone Invisibile è invece proprio su quello che avrebbe dovuto puntare
C’è quindi il tempo che stringe, un mistero da svelare (se non è stato lui a compiere quell’omicidio, chi è stato? Come è arrivato a quella situazione assurda?) e moltissimi intrecci ma tutto crolla prima ancora di essere costruito perché niente di questo film è credibile, nemmeno la porta sfondata all’inizio della storia perché pare sfondata spingendo piano piano.
Perché Il Testimone Invisibile dovrebbe essere un film che lavora sul piacere del racconto e della creazione di storie. Nella trama imputato e avvocato difensore ingaggiano una battaglia dialettica, il primo sembra sempre non rivelare i fatti fino all’ultimo, la seconda lo scopre ogni volta e usa le sue parole per capire cosa stia nascondendo. Le stesse questioni sono ripassate e riviste, le forze in campo sono modificate di racconto in racconto per avvicinarsi alla verità.
Eppure tutto il film è scritto in maniera così noiosa, confusa, pretestuosa e interpretato con così poca cura e credibilità da non riuscire mai ad appassionare. Entrare in una storia thriller con morto non dovrebbe essere complicato ma questo film sembra davvero fare di tutto per rendere il percorso accidentato e complicato.
Inevitabilmente alla fine la parte di piacere, cioè la continua scoperta di una realtà sempre più reale e meno frutto di menzogne, non è per nulla piacevole ma un inferno mal raccontato di cui si finisce per non voler sapere più molto. E addirittura anche la figura dell’avvocato che sulla carta dovrebbe essere un genio, carismatica e ineffabile risulta pura velleità. Scritta per essere sagace eppure fasulla in quel che dice e come è interpretata.