Il tempo rimasto, la recensione

Il tempo rimasto è un suggestivo teatro della mente di persone anziane attraverso le loro rievocazioni, ma si ferma al livello delle parole

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Ne Il tempo rimasto Daniele Gaglianone compie un viaggio in cinque regioni italiane (Piemonte, Veneto, Lazio, Sicilia e Sardegna) raccogliendo testimonianze video di persone anziane che rievocano un mondo ormai scomparso, privo di tecnologie e degli agi odierni. I momenti più lieti (il primo innamoramento) si intrecciano a quelli più duri (le difficoltà economiche che mettono a rischio il percorso scolastico); i drammi della Storia (in primis il fascismo) sono sempre ricondotti a una dimensione intima e privata: assistere in diretta alla morte, il rimorso per essere sopravvissuti.

Gli intervistati parlano liberamente, senza mai un intervento a interromperli con domande o osservazioni esterne che sembrino guidare la testimonianza. Così, le emozioni sembrano sgorgare naturalmente, nel modo più autentico possibile. Ma se i protagonisti si aprono completamente di fronte alla macchina da presa, questa non si sofferma mai sui momenti di pianto o di dolore, staccando dai primi piani o spostando l'inquadratura sugli arredi. Gaglianone prova dunque grande rispetto per chi gli sta davanti, ma non evita però una ricercata drammatizzazione, tra inquadrature di raccordo come specchio dell'interiorità dei personaggi, con al centro elementi naturali, il placido mare o le fronde degli alberi, o le architetture in disfacimento. Atmosfere commoventi già di per sé vengono ulteriormente caricate di fronzoli inutili.

Le Decine e decine di incontri che si susseguono nel film ci accompagnano in case dove non vi è traccia di modernità, tra vecchi mobili e televisori col tubo catodico, o in esterni pieni di resti e macerie. Nelle parlate degli intervistati, emergono le differenti cadenze dialettali, ma il focalizzarsi sui singoli soggetti erode le differenze geografiche, per creare un universo condiviso di memorie e ricordi. Un tempo sospeso dove non c’è presente (o tantomeno futuro) ma solo visioni del passato, rievocato sempre con la consapevolezza che si tratta di un tempo ormai distante. Gli anziani riaprono (letteralmente) il cassetto dei ricordi, e accostano il loro viso a quelli ritratti nelle fotografie in bianco e nero. Gaglianone allestisce così un vero e proprio teatro della mente di queste persone anziane. Nell’unico frammento che coinvolge persone più giovani, questi rimangono fuori fuoco, come voce fuori campo, così da evocare il punto di vista della protagonista, che non sembra accorgersi di quello che le accade attorno. In questa resa dell'esperienza sensoriale, di presenze mentali, Il tempo rimasto è sicuramente riuscito, ma allo stesso tempo non riesce a farci percepire il mondo evocato a livello di immagini, con visioni concrete, ma solo delle parole, con flebili suggestioni.

Inoltre, non giova l'assenza di qualunque narrativizzazione che leghi i diversi quadretti che si susseguono nel film. In uno di questi, un signore racconta un aneddoto divertente che riguarda una sua esperienza in stazione facendo ricorso a pause e cadenze che creano una certa attesa per capire come va a finire. Ma è un’eccezione: per il resto, Il tempo rimasto, come collezione di riflessione sulla crudezza del mondo contadino o l’importanza dell’educazione scolastica, non aggiunge molto di nuovo a quanto è già ampiamente assodato o offre punti di vista inediti sui fatti storici. Quello che resta è un inteso ritratto della vecchiaia, ma che complessivamente non appassiona quanto avrebbe voluto.

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