Il talento del calabrone, la recensione

Forte di una solida messa in scena, Il talento del calabrone rimane un’ottima prova di regia di Giacomo Cimini, che dimostra un controllo sulla scena e sul ritmo (complice il montaggio) piuttosto raro nel panorama italiano.

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Nell’epoca degli attentati in diretta social e di una violenza sempre live, registrata o registrabile, il regime delle possibilità dello sguardo sul male ha trasformato i suoi contorni indelebilmente, trascinando con sé anche il linguaggio cinematografico, ora obbligato a pensare nuove visibilità del dolore. È in questa traiettoria che si inserisce il thriller Il talento del calabrone di Giacomo Cimini. Sebbene sia drammaturgicamente tutt’altro che perfetto, il film ha dalla sua, oltre a una solida prova di regia, l’originalità dell’intuizione: andare direttamente dentro al mezzo di comunicazione per cercare di metterne in luce le responsabilità comunicative.

È infatti dallo studio di una radio milanese che partono le premesse del dramma. Durante una trasmissione il presuntuoso e montato dj radiofonico Steph (Lorenzo Richelmy) ricevete la chiamata di un ascoltatore, Carlo (Sergio Castellitto), il quale annuncia in diretta che si sta per suicidare. Qualora Steph dovesse riattaccare, Carlo farebbe esplodere la sua macchina, uccidendo chiunque fosse nei paraggi: Steph è allora obbligato a reggergli il gioco, assecondando le sue richieste musicali e un quiz via social. A seguire il caso c’è anche il tenente colonnello Rosa (Anna Foglietta), che da dietro il vetro della regia suggerisce a Steph come comportarsi… fino a che non è lo stesso Steph a perdere la pazienza.

La tensione è tutta giocata intorno alle motivazioni di Carlo e al se/quando si farà esplodere: in questo Cimini riesce perfettamente, attraverso una regia discreta ma funzionale (non ci sono trovate particolarmente significative) che però tiene davvero incollati allo schermo per la maggior parte del tempo. Tutt’altra cosa è – e questo è un vero peccato - la sceneggiatura, che nonostante la premessa narrativa davvero intelligente si perde purtroppo in una serie di ingenuità strutturali. Troppi risvolti di trama significativi sono infatti affidati a pure casualità o facilonerie, le quali regalano come per magia al tenente colonnello le risposte che le servono. L’impressione è che risolva presto e sbrigativamente tutta la difficile parte della detection per riservare l’effetto sorpresa tutto per il finale: un finale comunque potente, ma che lascia dietro di sé un vuoto di credibilità non proprio indifferente.

Per questo motivo anche la bella trovata della radio va a perdere d’efficacia, sgonfiandosi mano a mano con il procedere del film. Non c’è un vero gioco sul mezzo che non sia l’esposizione dello stesso (l’essere nello studio): e questo vale anche per i social. Vediamo all’opera i mezzi di comunicazione perché o ci siamo dentro o i personaggi li usano, ma non c’è un vero e proprio ragionamento di linguaggio dietro questi: potrebbero essere sostituibili con qualsiasi altro mezzo, per esempio uno studio televisivo, e l’effetto sarebbe lo stesso.

Forte comunque di una solida messa in scena, Il talento del calabrone rimane un’ottima prova di regia di Giacomo Cimini, che dimostra un controllo sulla scena e sul ritmo (complice il montaggio) piuttosto raro nel panorama italiano.

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