Il Sindaco del Rione Sanità, la recensione | Venezia 76

L'adattamento firmato da Mario Martone di Il Sindaco del Rione Sanità dà alla commedia di De Filippo un'aura di cupa attualità

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Spoiler Alert
Ad appena un anno dalla presentazione di Capri-Revolution al Festival di Venezia, Mario Martone torna in laguna con Il Sindaco del Rione Sanità, trasposizione filmica della celebre commedia di Eduardo De Filippo. Ed è un ritorno in pompa magna, con una rilettura contemporanea che dà nuova linfa al testo, complice la fresca interpretazione di un cast splendidamente capitanato da Francesco Di Leva nel ruolo del titolo.

La vicenda, per chi non conoscesse l'opera di De Filippo, ruota attorno a don Antonio Barracano, boss che governa il Rione Sanità applicando un proprio personale criterio di giustizia che cerca di tutelare chi non ha santi in Paradiso. Calata in un inedito contesto post-gomorriano, la commedia germoglia grazie a una capillare direzione attoriale che ne sottolinea l'impianto teatrale senza mai sconfinare in una polverosa pesantezza.

Da navigato regista teatrale, Martone conosce a menadito la materia che ha sottomano, e il suo riproporla al pubblico odierno non ha nulla di nostalgico: è, piuttosto, un acuto dialogo tra passato e presente, un desiderio di ritrovare, nell'oggi, gli stessi archetipi che De Filippo aveva esaurientemente raccontato per la prima volta quasi sessant'anni fa.

Proprio questa stretta correlazione tra passato e presente è, in fin dei conti, alla base della storia narrata: Barracano vede infatti in Rafiluccio Santaniello un'eco presente di ciò che lui è stato, prefigurando al giovane assetato di vendetta un futuro infestato dal fantasma dell'odio. Il suo tentativo di risolvere gli attriti tra il ragazzo e il padre Arturo (Massimiliano Gallo) riesce a caro prezzo e secondo modalità del tutto impreviste, ma Barracano paga l'obolo fatale con serafica calma, spia di un transfert catartico.

Adottando il problema di Rafiluccio come proprio, don Antonio - qui ringiovanito di almeno trent'anni rispetto all'ultrasettantenne di De Filippo - si riconcilia indirettamente con il proprio passato, assolvendosi infine per un cruento crimine commesso quand'era ragazzo. Resta, è vero, qualche dubbio sulla pesante variazione anagrafica rispetto all'opera originaria, traballante nel momento in cui Antonio si rassegna all'ineluttabilità del proprio fato.

Tuttavia, l'età relativamente giovane del Barracano di Martone acuisce il senso di speranza esposto nell'ultima parte del testo, quel desiderio che le nuove generazioni possano vedere un mondo "meno rotondo e un po' più quadrato". Un mondo, in conclusione, che non abbia bisogno di un don Antonio a proteggere i disgraziati dai soprusi di chi è al di sopra; o, per chi volesse vederla in termini comprensibilmente più rigorosi, che possa fare totalmente affidamento sulla legge al di là della fallibilità di coloro che la applicano, perché "la legge è fatta bene, sono gli uomini che si mangiano fra di loro".

Registicamente parlando, Martone non fa nulla per smentire la propria vocazione teatralizzante, che esplode nel compostissimo cenacolo dell'epilogo; meno riusciti gli inserti prettamente spuri del film, in particolare la sequenza dell'accoltellamento di Barracano da parte di Arturo. Nulla che possa pregiudicare la riuscita di un'opera solidissima proprio perché basata su certezze: De Filippo, un impeccabile ensemble d'attori, una profonda comprensione del passato correlata a un lucido sguardo sul presente.

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