Il Signore degli Anelli: gli Anelli del Potere: la recensione, la seconda stagione è un passo avanti nella giusta direzione
La seconda stagione degli Anelli del Potere compie dei decisi passi avanti nella giusta direzione quando non si sforza di essere ciò che non è
Va in scena proprio in queste settimane su Amazon Prime la seconda stagione de Gli Anelli del Potere, la serie ‘prequel’ che accompagna gli spettatori nel passato della Terra di Mezzo per raccontare le guerre passate dei popoli liberi contro Sauron e soprattutto per mostrarci la forgiatura degli anelli veri e propri che saranno poi al centro della vicenda letteraria e cinematografica che tutti conosciamo.
C’è riuscita? Abbiamo visto la stagione nella sua interezza e siamo pronti a esprimere un verdetto: seguiteci!
La Tragedia della Forgiatura
Partiamo con gli aspetti migliori: la seconda stagione de Gli Anelli del Potere funziona al suo meglio quando ruota attorno agli eventi che le danno il titolo. Gli anelli del potere, nella prima stagione quasi fuori tempo massimo, sono stavolta al centro della narrazione di buona parte degli episodi, e il dramma che segnerà le vicende di quasi due ere della Terra di Mezzo va in scena con la gravitas e con l’alone di sventura ineluttabile degno delle grandi tragedie. Al centro delle vicende in Eregion stanno, naturalmente, il Sauron/Annatar di Charlie Vickers e il Celebrimbor di Charles Edwards. E se il primo fa un dignitoso lavoro nel rappresentare un ‘Signore dei Doni’ glaciale e manipolatore, a rendere valido il filone della trama è soprattutto Edwards, non a caso attore Shakespeariano di pedigree elevato, che ritrae con passione la lenta discesa di Celebrimbor nella rete degli inganni di Sauron, alternandosi tra momenti di hubris, di ingenuità e di genuina pietà. In più di un senso la storia di questa stagione è la sua storia e ogni scena ambientata nella forgia di Eregion, improntate spesso su dialoghi, momenti di tensione, presagi e monologhi, ha il sapore delle scene teatrali classiche.
Numenor... o Westeros?
Un altro filone dove le cose volgono al peggio ma la tensione drammatica è assicurata è quello di Numenor. Alla fine della prima stagione avevamo lasciato Elendil e l’accecata Regina Miriel di ritorno dalla sfortunata campagna nella Terra di Mezzo in soccorso delle Terre del Sud. Il tema portante di questa stagione è l’ascesa al potere senza troppi scrupoli di Pharazon, interpretato da un ‘odioso’ Trystan Gravelle che sembra non fermarsi di fronte a nulla. Il paragone con Il Trono di Spade non è un’iperbole, molti degli spettatori dell’altra serie avranno notato non pochi parallelismi tra le vicende di Numenor e quelle di Approdo del Re. Parallelismi che probabilmente non stanno solo nell’occhio di chi guarda, ma che sono stati volutamente cercati dagli showrunner, specialmente nella figura di Elendil, interpretato da Lloyd Owen, che richiama Eddard Stark non solo nel look, ma anche nella sua parabola, rifiutandosi caparbiamente di sottostare ai giochi di potere della politica pur di preservare il suo onore.
Ospiti d’onore e fan service
Probabilmente una delle parole d’ordine in casa Amazon nello strutturare la seconda stagione è stata: sparate tutte le cartucce che abbiamo a disposizione! Nella seconda stagione de Gli Anelli del Potere c’è di tutto e di più, quasi ogni creatura o personaggio ricollegabile alle pellicole cinematografiche che poteva essere presente fa la sua comparsata, a volte come semplice cammeo o ammiccamento, altre volte con un ruolo più incisivo sulla storia. I molti casi al riguardo funzionano con vari gradi di successo: il Tom Bombadil interpretato da un Rory Kinnear è pressoché perfetto, e se si eccettua una sua strana ‘trasferta’ in tutt’altra zona della Terra di Mezzo, è la dimostrazione di come fosse possibile e doveroso renderlo in maniera fedele alla sua controparte letteraria rispettandone l’essenza e senza cadere nel bislacco o nel ridicolo. Altri casi funzionano meno bene: lo ‘stregone malvagio’ delle terre dell’est, che ha molti echi Sarumaniani, resta un’incognita su cui è difficile esprimere un giudizio, e con la sottotrama dello Straniero di Daniel Weyman che ha protratto il mistero sull’identità del personaggio anche troppo a lungo, l’ultima cosa di cui la serie ha bisogno è un altro stregone dall’identità e dalle motivazioni incerte.
A volte sembra quasi che sul tavolo degli sceneggiatori ci sia una lista di spunte da includere necessariamente: il duo delle pelopiede Nori e Poppy è essenzialmente una riproposizione dell’amicizia Frodo/Sam al femminile, certi stereotipi delle scene di battaglia, dagli assedi disperati ai corni che annunciano insperati capovolgimenti di scena, ammiccano clamorosamente ai precedenti immortalati dalla trilogia cinematografica originale. E se certe volte una “rima” o un’allusione alle vicende della Guerra dell’Anello sono naturali e sono un piacevole richiamo, altre volte la strizzata d’occhio è eccessiva e immotivata. Non c’è bisogno di ricollegarci a spade, bastoni, terre e rifugi futuri, mostri da combattere e citazioni celebri a ogni occasione. Come dimostra il filone Annatar/Celebrimbor, la parte migliore della serie è quella in cui ci si adopera per mettere in piedi interpretando e sviluppando gli eventi storici, che non sforzandosi di essere ciò che non si è.
Figure Minori
Gli aspetti meno riusciti della serie riguardano per buona parte certi personaggi e certe trame ereditate dalla prima stagione. La stagione passata aveva messo sul piatto un nutrito numero di personaggi inediti creati per l’occasione, dall’elfo ranger Arondir al duo delle terre del sud Bronwyn e Theo, dal ‘padre degli orchi’ Adar alla figlia di Elendil Eärien. Non è esagerato dire che costituissero la parte meno riuscita della stagione precedente, soprattutto per la natura spiazzante della loro presenza e la poca chiarezza del percorso narrativo che avrebbero seguito. È un problema che si ripresenta anche in questa stagione, in parte più ridotto perché a livello temporale, viene lasciato più spazio ai grandi eventi e alle figure storiche, ma proprio per questo motivo anche più sentito, perché a fianco delle vicende di Sauron, Celebrimbor, Galadriel, Gil-Galad, Durin ed Elrond, che entrano nel vivo e marciano a un buon ritmo, ogni digressione sulle figure minori in questione viene percepita, appunto, come una digressione. Ci sono anche casi in cui il meccanismo funziona: la figura di Adar, il padre degli orchi che proclama di avere a cuore le sorti del suo popolo e sogna l’affrancamento da Sauron, è gestita con il dovuto equilibrio e si innesta bene nelle vicende conosciute senza stravolgerle o metterle a rischio. Altre sono inevitabilmente percepite come un fardello. Eärien ha quanto meno un ruolo piccolo ma incisivo nelle vicende numenorane, ma continua a dare l’impressione di una ‘imbucata alla festa’, Arondir, purtroppo, sembra veramente essere stato dimenticato sul set dai tempi della stagione 1 e ha veramente poco da dare in termini di trama e di interpretazione, e se l’abbandono dell’attrice che interpretava Bronwyn ci libera quanto meno da una sottotrama superflua, è veramente difficile trovare un motivo o un aspetto piacevole alla presenza del figlio Theo.
Conclusione
Premesso che chi scrive, abbandonata consapevolmente all’inizio della prima stagione ogni velleità di aderenza ai testi d’origine, aveva comunque trovato la prima stagione un buon fantasy generico, a tratti appassionante, ma non scevro di problemi, di fronte a questa seconda stagione diciamo che sono stati fatti dei buoni passi avanti. Focalizzarsi maggiormente sulle figure e sugli eventi ‘storici’ che la serie dovrebbe trattare è stata una scelta azzeccata e tutto il filone della forgiatura degli anelli e della caduta di Celebrimbor, una combinazione pressoché ottimale tra ispirazione degli eventi letterari ed elaborazione/interpretazione originale per la messa in scena seriale, dimostra che è quella la strada giusta da seguire. Sebbene la seconda stagione porti a compimento molte sottotrame che dovrebbero ridurre all’osso certi ‘cincischiamenti’ futuri, c’è ancora un po’ di strada da fare su quel fronte, ma alla luce delle venture vicende storiche che dovrebbero essere trattate nelle prossime stagioni, c’è da sperare che proseguendo sulla strada intrapresa si possa salire di un ulteriore gradino.
Sarebbe inoltre ingeneroso non menzionare il fascino visivo degli scenari della Terra di Mezzo che abbelliscono le molte scene d’azione. Il sontuoso budget dedicato allo scopo fa il suo dovere e, unitamente alle musiche di un bravissimo Bear McCreary, in vari momenti gli occhi e il cuore ne escono appagati. È ormai più che superfluo dirlo, i puristi Tolkieniani più intransigenti non si lasceranno convincere nemmeno da questo secondo tentativo, ma l’appassionato più elastico e lo spettatore generalista troveranno il modo di passare molte ore immersi negli scenari e nelle vicende della Terra di Mezzo il cui fascino resta comunque inossidabile.