Il Signor Diavolo, la recensione
Horror senza idee che non siano di Dario Argento, Il Signor Diavolo stupisce per la pregnanza dell'ambientazione ma delude con lo svolgimento
Ad esempio il protagonista è un giovane politico, una mezza tacca che riceve l’ordine di andare a insabbiare un caso che minaccia un collegio elettorale DC. Il mandante è direttamente De Gasperi e la maniera in cui viene comunicato e spiegato l’affare fa sembrare che la DC sia lo S.H.I.E.L.D. dell’Italia degli anni ‘50.
L’ispirazione viene dall’omonimo libro che Pupi Avati ha scritto l’anno scorso e la riduzione in film sembra soffrire molto dell’esigenza di maneggiare gli strumenti del cinema di paura, l’armamentario classico e quello moderno, entrambi (a giudicare dal film) sconosciuti ad Avati che invece continua a sfruttare soluzioni e idee del giallo argentiano.
La storia è una di possessioni e forse diavoli, di figli deformi e mentalità da paese. Non eccessivamente suggestiva nell’intreccio ma, come sempre negli horror del regista, più negli ambienti. C’è infatti un mondo da piccolo paese (quello di tutti i suoi film) e una prossimità alla realtà contadino/animale che calza molto bene quella forma di satanismo arcaico, misterico e tradizionale su cui si basa il film. E in questo sta la sorpresa perché Il Signor Diavolo ha una personalità molto decisa. Che è bene.
Il Signor Diavolo, al netto di un’ambientazione azzeccata, è un film che non ha ben chiaro di cosa si dovrebbe aver paura e che quelle poche cose che sa riconoscere come spaventose le prende a Dario Argento, cioè a un cinema di 40 anni fa, senza avere la capacità di attualizzarle o rimodularle per un film moderno. È derivativo, da un certo punto in poi annoia e alla fine non consegna quel che ha promesso.