Il serpente dell'Essex, la recensione

Il serpente dell'Essex sublima i suoi pregevoli intenti filosofici tra i fumi tenui di un dramma romantico a tinte gotiche

Condividi
Spoiler Alert
La recensione della miniserie Il Serpente dell'Essex, disponibile dal 13 maggio su Apple TV+

Nel suo Oceano, Victor Hugo asseriva che occorresse sollevare la Natura per trovarvi nascosto, al di sotto, Dio; una definizione che ha perfetta eco in Il serpente dell'Essex, fastosa trasposizione seriale dell'omonimo romanzo di Sarah Perry. Il dialogo continuo tra scienza e fede costituisce, infatti, il nerbo della serie britannica, con i propri poli perfettamente incarnati dai due carismatici protagonisti.

La trama della miniserie Il serpente dell'Essex

Nel corso dei sei episodi, osserviamo la fresca vedova Cora Seaborne (Claire Danes) trasferirsi temporaneamente dalla Londra di fine Ottocento alle paludose lande dell'Essex; la donna è in fuga dal ricordo di un matrimonio di abusi e alla ricerca di un luogo ove poter esercitare la propria troppo a lungo inespressa passione per la ricerca di fossili. Ad accompagnarla, il sensibile figlioletto Frankie e la domestica Martha (Hayley Squires), con cui ella ha instaurato un rapporto di ambigua complicità.

Ad accoglierla, Cora trova sospetto e diffidenza, nonché una buona dose di superstizione legata al leggendario serpente dell'Essex, che i locali ritengono infesti la zona come emanazione del potere del Maligno. Guardata con circospezione dalla comunità, trova un inatteso alleato nel vicario Will (Tom Hiddleston), sposato alla dolce Stella (Clémence Poésy). Lungi dagli oscurantismi dei suoi compaesani, l'uomo è convinto che scienza e fede possano camminare mano nella mano; per questo, vede nella sapiente, curiosa Cora la perfetta interlocutrice per le sue riflessioni filosofiche.

Cogito, ergo amo

Già la scelta di casting offre materia di riflessione: se Danes risulta una scelta logica per l'illuminata, passionale vedova Cora (un ruolo inizialmente destinato alla smorfiosissima Keira Knightley), Hiddleston si trova negli inconsueti panni di un vicario, faro di una piccola comunità ma alieno al bigottismo della vittoriana campagna inglese che è cornice della vicenda. Lontano dalla malizia del suo recente Loki televisivo, l'attore britannico sfoggia qui il proprio volto più rassicurante, caratterizzando il suo prelato con brillante relativismo.

Il serpente dell' Essex non si vergogna di sfruttare l'aura da sex symbol dell'attore, veicolando attraverso il suo fascino un approccio alla religione possibilista e complementare alla scienza. In aggiunta, utilizza la contrapposizione tra diverse mentalità e indoli come base per costruire geometrie sentimentali. Se il fulcro del racconto è Cora, attorno a lei orbitano - innamorati in tutte le sfumature in cui si può esserlo - Will, Martha e il medico Luke (Frank Dillane).

Potremmo quasi dire che la relazione che Cora stabilisce con i suoi corteggiatori sia eco del suo rapporto con i temi cardine del pensiero umano: la fede, la politica, la scienza. In ogni caso, ella sembra rifiutare gli estremismi propri di ognuno di essi, mantenendosi sul filo dell'equilibrio in un mondo ancora molto caratterizzato dal manicheismo. Non è un caso che, ben presto, il cuore di Cora orienti i propri passi verso il pacato Will, sintesi di un idilliaco accordo tra religione e pensiero scientifico, tra passione e ragione.

Il diavolo e la signora Seaborne

Oltre alla filosofia trasfigurata in love story, Il serpente dell'Essex ci offre un ulteriore motivo d'interesse. Se l'Essex americano, il Massachussets, fu teatro della secentesca caccia alle streghe, l'originale britannico diviene palco di una simile persecuzione. Col suo tetro paesaggio avvolto da nebbie lanuginose e spazzato dal vento, la terra ostile resta indifferente ai tentativi di assoggettamento da parte degli abitanti. Diviene così, in men che non si dica, presunto ricettacolo di forze del Male pronte a falciare vite nella forma del sopracitato serpente.

Ma ogni serpente malefico che si rispetti deve avere la propria Eva, e la piccola comunità riconosce in Cora la fonte delle sventure del loro fangoso Eden. Proprio come la biblica progenitrice, Cora sceglie di conoscere, animata da una curiosità che gli ottusi condannano e i vigliacchi temono. Onore al merito della regista Clio Barnard e della sceneggiatrice Anna Symon per essere riuscite ad ammantare l'intera stagione di un senso di cupo presagio, come se la catastrofe - per Cora e i suoi pochi alleati - fosse appostata dietro l'angolo.

Tutto concorre a creare una cappa di spiacevole disagio, di sotterraneo pericolo per la protagonista e i suoi sodali; dove non arriva la cupa violenza della natura, giunge la fuliggine dell'ingiustizia sociale. Sebbene il filone prettamente politico affidato a Martha risulti per lo più scollegato dal resto del racconto, esso aggiunge un'ennesima pennellata a un quadro storico saturo di ombre. Il diavolo c'è, Il serpente dell'Essex non vuole negarlo; contrariamente alle credenze popolari, risiede però nell'oscurantismo della cieca religiosità e nell'ostracismo verso il diverso, sia esso straniero o interessato a indagare l'insolito.

Continua a leggere su BadTaste