Il Segreto, la recensione

In Il Segreto la visione della storia irlandese di Jim Sheridan, un mondo in cui i singoli sono prigionieri delle istituzioni, prende la forma del melodramma

Critico e giornalista cinematografico


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Pochi come Jim Sheridan hanno mostrato negli anni una visione così chiara e coerente della storia del proprio paese come una continua vessazione istituzionalizzata dello stato nei confronti dei singoli cittadini. Siano personaggi epici come Bobby Sands o povere donne degli anni ‘20 come è Roseanne McNulty in questa storia, c’è costantemente una forma di sopruso perpetrata ai loro danni tramite i mezzi dello stato e delle sue istituzioni, la galera come il manicomio. C’è sempre insomma nell’Irlanda di Jim Sheridan il timore che non potrò essere chi sono o desidero diventare, non potrò fare quel che cerco di fare perché una macchina spaventosa e più grande di me mi si mette contro, come in una persecuzione.

Il Segreto incrocia questo tipo di ossessione con una storia melodrammatica di amori e gravidanza, di lettere e lacrime, abiti a fiori e preti belli. È l’armamentario del cinema rosa di tantissimi anni fa rispolverato e rimesso a lucido per essere affiancato ad un ritmo compassato e dotato della lentezza di chi vorrebbe che ogni passo, ogni parola e soprattutto ogni silenzio fosse significativo. Purtroppo così non è in Il Segreto, talmente ansioso di ottemperare al proprio stile da sembrare più interessato a fare un melodramma classico che a farlo bene. Così innamorato della propria aderenza a quell’estetica e quel racconto da rimanerci invischiato.

Rooney Mara è il volto e il corpo giusto per quei tempi (l’aveva dimostrato benissimo in Carol) ma davvero anche il più appassionato sostenitore del melò classico si trova in difficoltà di fronte alla maniera goffa in cui Il Segreto si barcamena tra mostrare e suggerire, ovvero la dialettica grazie alla quale trionfavano i film degli anni ‘50, impossibilitati a mettere in scena direttamente e costretti ad implicare. Oggi Sheridan potrebbe evitare tutto questo ma preferisce macerare nei sentimenti più semplici, eccedere con l’agiografia, i meschini e malvagi oppositori o ancora la sorpresa che non è mai tale.

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