Il segreto di Vera Drake

Certi film si amano perché sono in grado di soddisfare le proprie aspettative, magari anche quando sono altissime. Altri si adorano per come ti spiazzano e perché non possono essere catalogati facilmente.

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E’ il caso di questo titolo, premiato a Venezia con il Leone d’oro e il premio alla migliore attrice, che non gioca secondo le attese del pubblico.
Il tema probabilmente lo conoscete. Vera, sposata, due figli grandi, aiuta (come dice lei) “le ragazze in difficoltà ”. Insomma, pratica aborti clandestini.
Ci si potrebbe aspettare una rappresentazione di Vera come una eroina contro una società machilista e bigotta. Ma Mike Leigh è troppo intelligente per fare un’opera manicheista e banale su un argomento del genere, nonostante i travisamenti al Festival di Venezia siano stati notevoli.
Chi ha voluto vedere un’opera di protesta e a favore del diritto d’aborto ha capito male. D’altronde, è proprio per evitare che milioni di donne debbano affidare la loro vita a dei dilettanti allo sbaraglio (anche quando sono brave persone e non macellai) che le società evolute hanno preferito legalizzare l’interruzione di gravidanza. Non si tratta, come il film fa capire bene, di scegliere tra bene e male, ma semplicemente di limitare il danno, che non è solo una possibile vita futura, ma anche una sicura vita presente. E su questo, la caratterizzazione dei poliziotti è perfetta. Sarebbe stato semplice rappresentarli come aguzzini menefreghisti, magari per far empatizzare il pubblico con la sventurata protagonista. Invece, Mike Leigh è attento a non cadere in questa trappola, anche se a tratti si rischia di cadere nell’eccesso opposto e di mostrare le forze dell’ordine come una sorta di assistenti sociali.

Insomma, non aspettatevi di vedere una caratterizzazione semplice. Perché se, come detto, Vera non è certo una guerrigliera femminista, non è neanche una speculatrice macellaia.
Si tratta semplicemente di una donna come tante, che con grande ingenuità pensa di fare la cosa migliore per chi non sa come fare per andare avanti. Basti vedere come tratta le ragazze che assiste, trattandole come bambine e con il sorriso sempre stampato in faccia, per dar loro coraggio e cercare di confortarle. A tratti si ha l’impressione di vedere un film di Von Trier, ma Mike Leigh non è così pessimista come il regista danese. Certo, forse i personaggi ingenui come Vera e Reg (che ha il coraggio, o l’incoscienza, di dimostrarle il suo affetto quando ne ha più bisogno) raccolgono più simpatie, ma non per questo gli altri vengono rappresentati come cinici e insopportabili.

Grande merito nella raffigurazione di Vera va ovviamente a Imelda Staunton, che dimostra come l’entusiasmo per la sua prova sia assolutamente giustificato. Sembra di vedere due attrici diverse tra il primo e il secondo tempo, per come la Staunton riesce a cambiare drasticamente la sua intepretazione (non guardate solo il suo volto, ma anche il modo di camminare). E’ da Oscar? Sicuramente, anche se molto dipenderà dalla capacità di una pellicola del genere di sfondare negli States, compito decisamente non facile...

Il film, come immaginabile, non è un “feel-good movie”. Ma più che alcune scene forti (i numerosi aborti, una scena di violenza, introdotta peraltro da una battuta feroce), è il comportamento delle persone a sconvolgere maggiormente. Basti pensare alla figura agghiaccinate dello psicologo, ma anche ad alcune amiche delle protagoniste, incapaci di capire le loro difficoltà , ma pronte invece ad utilizzarle per interesse.
O anche il disinteresse dei più agiati verso sta loro vicino, così come le differenti possibilità per chi ha più soldi rispetto ai meno fortunati (il tutto, è il caso di precisarlo, senza comunque calcare troppo la mano).

Inoltre, va sottolineata la grande attenzione verso tutti i personaggi che compaiono nel film, indifferentemente dal loro ruolo e dal tempo che passano sullo schermo.
Per esempio, tutte le donne che vengono assistite da Vera riescono a mostrare la loro personalità e il loro atteggiamento diverso nei confronti di un evento così traumatico. Come è notevole la capacità di caratterizzare l’importanza di avere una famiglia unita e il bisogno di tante esistenze, che magari hanno sofferto in passato, di avere dei punti di riferimento. O l’attenzione verso i piccoli dettagli, come l’utilizzo degli strumenti di “lavoro” della protagonista, in diversi momenti della storia.

Infine, credo sia obbligatorio citare un film dalla tematica simile, ma per molti versi diverso, come Un affare di donne di Chabrol, una delle pellicole migliori del regista francese per come riusciva a rappresentare una società brutale e indifferente in maniera molto lucida. Difficile dire quale delle due pellicole sia migliore. Il consiglio, se non si è ancora capito, è di vederle entrambe.

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