Il segreto di Liberato, la recensione

Documentario inattendibile, girato dallo stesso team che lavora con l'artista, Il segreto di Liberato fa esattamente il lavoro dei videoclip

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il segreto di Liberato, il documentario su Liberato di Francesco Lettieri in uscita il 9 maggio

Questa è la origin story di Liberato, raccontata nella forma di un documentario inattendibile. Lo ha girato Francesco Lettieri, che è anche una delle persone che parlano, intervistate (o autointervistate) per raccontare per interposta persona Liberato. Lui non si mostra mai ovviamente, ma tutti quelli che lavorano con lui lo raccontano. Proprio per questo è un documentario inattendibile, perché è un racconto dall’interno, non c’è una persona terza che guarda la storia di Liberato e ci legge qualcosa, ma è tutto prodotto dallo stesso entourage di Liberato, che lavora con lui e si capisce essere parte anche creativa del progetto Liberato. Di fatto è molto più simile a un videoclip, nelle finalità, che a un vero documentario. È cioè un testo parallelo alla musica che serve a costruire, cementare e ribadire l’identità del performer. Prima lo facevano i videoclip (e del resto Lettieri è il regista dei video di Liberato e del film Ultras), prima ancora le copertine dei dischi, ora anche i documentari (Cosmo e altri hanno fatto la medesima operazione). Il risultato è una versione più audace di Ziggy Stardust, una delle molte identità che aveva assunto David Bowie.

Le implausibilità in questa storia di Liberato e in questo dietro le quinte di come funziona la sua gestione non si contano. Il lavoro dietro alle imprese è raccontato come il grande cazzeggio di un gruppo di amici che si divertono, tutto molto spontaneo e ingenuo, animato dal desiderio di dare schiaffi al sistema e farsene gioco. Senza contare la grandissima contraddizione tra la scelta di non mostrarsi in volto (cruciale per il personaggio e il progetto) e aver sovradocumentato audiovisivamente fin dall’inizio ogni passaggio. Liberato, l’artista che non si mostra, è quello di cui abbiamo più riprese. Il segreto di Liberato dunque da un lato è fatto dalla cronaca audiovisiva della carriera di Liberato, dagli inizi (quando ha contattato Lettieri) all’esplosione online, poi l’etichetta musicale e poi i tour. Dall’altra dalla origin story, in forma animata, cioè da dove viene il personaggio, qual è il passato di Liberato, a partire dal liceo fino a quando è diventato “Liberato”, cioè ha assunto un’altra identità. 

Proprio la parte animata è la più interessante, l’ha diretta LRNZ con gran gusto. È una regia dallo stile spesso nipponico, e lo si vede da come gli establishing shot del lungomare di Napoli sono fatti con pochi tratti naturalisti (gabbiani, un granchio che si nasconde tra gli scogli, bambini che giocano a calcio) o anche dal character design di Liberato (con dei capelli che gli coprono sempre il volto e sembrano il casco della versione demoniaca di Grifis di Berserk) e piena di idee, ma sembra realizzata con un budget inferiore alle ambizioni, anche se nei punti cruciali alcune idee sofisticate riescono a colmare il gap tra quel che serviva e quel che si voleva fare.

Di nuovo è esattamente la struttura dei videoclip, solo allargata: una storia di ragazzi, di amori e aspirazioni che esprima i valori da attribuire al performer, inframezzata dai live e dalle immagini reali dei tour. La cosa curiosa è che il Liberato delle immagini vere (quello sul palco e quello con il passamontagna dietro le quinte) non ha lo stesso atteggiamento del Liberato animato, sembrano due personaggi diversi, quello vero più sfrontato, di strada e sicuro di sé, l’altro sensibile e romantico, ingenuo e fragile. Il film animato è fatto per trasmettere romanticismo, senso della mancanza di qualcosa che sta nel passato (come molte canzoni), rivela l’origine del nome e il perché del mistero sull’identità legandoli a un ricordo e soprattutto a un amore mai realizzato in pieno. È vero? Probabilmente no. Importa che sia vero? Sicuramente no. L’arte è costruzione di un immaginario e l’immaginario di Liberato è coerente, ben fondato, perfettamente in armonia con la musica e soprattutto evocativo, che è esattamente ciò che manca (da sempre) alla musica italiana.

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