Il segreto dei suoi occhi, la recensione
Poteva essere un buon remake e un'occasione per tracciare paralleli interessanti, invece Il Segreto dei suoi Occhi versione USA pare aver capito poco
Se il cinema serve anche a elaborare e fare in modo che una certa parte di storia sia digerita e (entro certi limiti) “riscritta” per diventare mitologia, tradizione comune e visione di mondo, allora che due paesi usino la medesima trama e la medesima storia per mettere in forma di racconto ognuno una parte della propria storia, è un’occasione incredibile per comprendere le similitudini tra questi fatti.
In barba al senso del titolo infatti viene molto smussata la parte relativa allo sguardo, viene cambiato il finale e un personaggio chiave (da uomo diventa donna, da conoscente diventa parte del corpo di polizia) e viene infine accorciato il lasso temporale in cui si svolge la trama (non 25 ma 10 anni) annullandone così il portato esistenziale. Addirittura anche l’affascinante figura del collega ubriacone ma infallibile (interpretata dal grande Francella) è smussata e annullata.
Scegliendo di giocare l’ambiguità della trama con le politiche antiterroistiche post 11 settembre (il killer non può essere incriminato perché è un informatore sulle cellule di Al Qaida interne agli USA), Billy Ray poteva effettivamente tracciare un parallelo tra ciò che è accaduto in Argentina (le dittature e la strategia della paura) e ciò che è accaduto e forse ancora accade in America, poteva insomma costruire un lungo ponte e comunque realizzare un buon film. Invece tutto crolla, anche lo stratagemma che porta avanti l’indagine, la riscoperta di dove sia o chi sia l’assassino è terribile. Insomma, un thriller che non convince, con poche cose da dire ed estremamente confuse, il remake americano di The secret in their eyes dà l’impressione di non aver capito quali fossero i punti di forza della storia originale, su cosa si reggeva il suo senso.