Il sacro male: la recensione

La nostra recensione di Il sacro male, horror spirituale che si appoggia spesso a soluzioni scontate

Condividi
Nel 1983, quando James Herbert pubblicò il romanzo Shrine, l’espressione “fake news” non era ancora entrata nell’immaginario collettivo e abusata fino a farle perdere il suo significato originario e trasformarla in una frase fatta valida per quasi ogni occasione. Non c’erano neanche gli smartphone, in effetti, né Internet, ed è uno dei motivi per cui quel libro, un’epopea horror dai neanche tanto nascosti tratti kinghiani, era così affascinante: perché parlava di un mondo dove la comunicazione non era ancora globalizzata e istantanea, nel quale però un atto di fede riusciva nell’impresa di catalizzare l’attenzione di mezza America – un Paese, secondo Herbert, alla disperata ricerca della sua Lourdes o della sua Medjugorje, e che si trovava invece a confrontarsi con i suoi demoni (letterali).

Il sacro male (guarda il trailer), film di debutto del produttore e sceneggiatore di lungo corso Evan Spiliotopoulos e tratto proprio da Shrine, esce quarant’anni dopo il romanzo: il mondo è cambiato, le fake news sono il nostro pane quotidiano, qualsiasi cosa ti succeda davanti alla faccia può venire diffusa istantaneamente in tutto il pianeta se hai una connessione internet a disposizione. Ci sarebbe tanto materiale per una rilettura in chiave moderna di quella che è di fatto una classica storia di fantasmi cattivi, e invece quello che abbiamo è un horror discreto in termini di tensione generata e di messa in scena, ma per il resto tremendamente blando e generico. Competente, senza dubbio: non può essere solo colpa della pandemia e della mancanza di concorrenza se Il sacro male sta incassando alla grande da quasi due mesi, almeno negli Stati Uniti. Ma tutto sommato innocuo, ed è una delle cose peggiori che si possano dire a un film horror.

Si regge tutto, più che sul minuzioso affresco rurale della piccola comunità nella quale succede il miracolo, sulle prove dei singoli. Da un lato, per la quota “scetticismo da fuori”, c’è Jeffrey Dean Morgan nei panni di Gerry Fenn, giornalista in disgrazia dopo essere stato beccato a inventarsi balle pur di piazzare un pezzo; la stima professionale che i suoi datori di lavoro hanno di lui è tale che lo spediscono in un paesino in mezzo al nulla dove, pare, c’è stato un massacro di mucche. Il massacro si scoprirà poi essere solo la bravata di un adolescente che ha disegnato il logo dei Metallica sul fianco di un bovino, ma mentre si aggira per la comunità di Banfield, Massachusetts, Fenn si imbatte in una storia molto più grande di un semplice atto di vandalismo: una ragazza del posto, Alice, sordomuta dalla nascita, ha cominciato a parlare, nonché a sentire la voce della Madonna che le chiede di spargere la sua fede in lei e in cambio le dona poteri di guarigione con la sola imposizione delle mani.

Il sacro male film

Alice è la debuttante Cricket Brown, e segnatevi il suo nome perché andrà lontano: riesce nell’impresa di interpretare un personaggio che sente letteralmente la Madonna che le parla, e vive dunque in una costante estasi religiosa, senza mai lasciarsi andare all’overacting o all’espressione perennemente basita che sarebbe facile associare a una persona che, lo ripetiamo, sente letteralmente la Madonna che le parla. Ovviamente la supposta Madonna potrebbe non essere quello che sembra: Il sacro male si apre con l’inevitabile flashback a un paio di secoli prima, e mette subito in chiaro che quella che parla ad Alice non è la vergine Maria, ma lo spirito di una strega bruciata sul rogo.

Quella che poteva essere una riflessione sul ruolo dei media nello spargere certe voci incontrollate, e su come la fede, i miracoli e le apparizioni mariane possano trovare posto in un mondo dove esiste Internet, degenera quindi molto presto in un classico scary movie nel quale Jeffrey Dean Morgan deve investigare sul turpe passato della cittadina, e viene perseguitato da un fantasma/mostro/apparizione demoniaca che si muove a scatti ed emette quel suono tipo “click click click” che è ormai lo standard del 99% dei fantasmi/mostri/apparizioni demoniache al cinema. Farebbe tutto più effetto se Il sacro male potesse almeno appoggiarsi su effetti all’altezza invece che risolvere tutto con una valanga di jump scare; purtroppo il film è spesso scadente dal lato tecnico, e in particolare le frequenti apparizioni della Madonna circonfusa di luce fanno un effetto tra lo straniante e il ridicolo.

È curioso poi che un film di spettri prodotto anche da Sam Raimi riesca a essere così languido e quasi rilassato, con un ritmo glaciale e rarissimi guizzi di regia; è come se Spiliotopoulos provasse a inseguire il respiro del romanzo, ma si trovasse costretto dentro le quattro mura dei 90 minuti dell’horror religioso/di possessioni. C’è tanto contorno oltre alla coppia Gerry/Alice: la gente del posto, gli immancabili investigatori vaticani mandati per certificare il miracolo (tra cui spicca un irriconoscibile Cary Elwes), la scettica dottoressa del paese che rimane sconvolta quando Alice recupera la sua voce... il problema è che nessuno di questi elementi contribuisce granché al cuore del racconto, ma distrae: Il sacro male vuole a tutti i costi fare paura, ma paradossalmente funziona meglio quando racconta la vita in un paesino sperduto, e si sgonfia quando deve farci saltare dalla sedia.

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti dopo aver visto il film!

Seguici su Twitch

Continua a leggere su BadTaste