Il ritorno del Monnezza

Il commissario Rocky Giraldi, figlio del celebre Nico, si ritrova coinvolto suo malgrado in un caso che coinvolge politica e finanza. Lo affronterà con il suo abituale stile fatto di schiaffoni...

Condividi

Sembra che i Vanzina abbiano trovato la formula per sopravvivere al dopo Boldi-De Sica. Infatti, i risultati delle loro pellicole dopo Vacanze di Natale 2000, sono stati tutti degli insuccessi artistici e commerciali, compresi dei tentativi di cambiare registro come Quello che le ragazze non dicono e Il pranzo della domenica. Unica eccezione, La mandrakata, il sequel di Febbre da cavallo, opera diretta dal padre Steno e ormai un classico per una generazione di spettatori che ne conoscono le battute a memoria.

Così, si è pensato bene di riprovarci con il “mitico” ispettore Nico Giraldi, detto Er Monnezza. E, va detto subito, l’operazione mi convince molto. Non certo perché io sia un appassionato di quel tipo di cinema, che va benissimo quando si hanno dodici anni, ma che con il passare degli anni rivela tutte le sue lacune.
Semplicemente, c’è un enorme mercato per questo genere di film e un numero impressionante (oserei dire, eccessivo) di appassionati, molti dei quali sono potenziali spettatori della pellicola. Insomma, non fa certo male al cinema italiano se, per una volta, si lancia un film con motivazioni puramente commerciali (lasciamo perdere i presunti omaggi a Corbucci e a Ferruccio Amendola, che doppiava Tomas Milian).

Detto questo, è francamente difficile difendere Il ritorno del Monnezza. Intanto, Claudio Amendola non ha né il volto un po’ trucido di Milian, né la parlata irresistibile di suo padre. Ed è anche poco convincente nelle scene in cui deve menare le mani (anche perché i Vanzina, quando cercano di fare cinema di arti marziali, non sono proprio Tsui Hark).
Come spalla, Elisabetta Rocchetti (vista ne L’imbalsamatore, Il cartaio e L’amore è eterno finché dura) non è proprio il massimo, considerando che come poliziotta è credibile quasi come la banconota da un euro su cui si scherza nel film.
Il migliore è decisamente Enzo Salvi che, anche se a volte spara a salve, provoca le uniche risate sincere dei novanta minuti di durata. Senza essere Ugo Tognazzi, il ragazzo dovrebbe avere maggiori opportunità anche in pellicole più ambiziose, perché come spalla è assolutamente convincente.

Per il resto, che dire? La storia è di un’ingenuità mostruosa e l’elenco delle incongruenze occuperebbe da solo un paio di cartelle. Di sicuro, i film originali, senza avere sceneggiature degne di Chinatown, erano sicuramente più accettabili. Gli ultimi dieci minuti, assolutamente senza senso, raggiungono quasi vette surreali.
E non è che gli altri settori tecnici siano trattati meglio. La colonna sonora non è assolutamente in tono con la pellicola, il doppiaggio è quasi a livelli antonioniani, il montaggio presenta degli errori pacchiani e, last but not least, un’apparizione del presidente della Repubblica (meglio, di un attore che dovrebbe somigliargli) da antologia.

Bruno Corbucci era sicuramente un grande artigiano professionista. I Vanzina sembrano invece avere attualmente una gran voglia di trovare delle scuse per andare a Cortina...

Continua a leggere su BadTaste