Il richiamo della foresta, la recensione

Da libro di London Sanders crea una versione di Il Richiamo Della Foresta epurata della componente dirompente e un po' cartoonesca ma di certo impeccabile

Critico e giornalista cinematografico


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IL RICHIAMO DELLA FORESTA, DI CHRIS SANDERS: LA RECENSIONE

La grande storia di contrasti, armonie, fatiche, compromessi e risultati eccellenti tra Chris Sanders e la Disney si arricchisce di un nuovo capitolo.

L’uomo dietro Lilo e Stitch e molti dei classici Disney degli anni ‘90 (ma anche al servizio di altri, inventando il primo capitolo di Dragon Trainer e I Croods) è uno degli scrittori più abili e audaci che lavorino nel campo dell’animazione mainstream e ora fa il salto nel live action adattando il romanzo di Jack London. Fin dall’inizio del film sono chiare due cose: l’adattamento è scritto con grandissima serietà, il cane protagonista in computer grafica non funziona.

Sanders concede alla Disney uno svolgimento a tratti cartoonesco ed epura la storia di quell’idea di risposta ad un istinto profondo, ancestrale e insopprimibile che il cane trova e lo spettatore cerca per sé. Ne fa insomma una grande parabola umana e avventurosa per interposta persona, lavora molto bene sul personaggio affidato a Harrison Ford e mette in campo dinamiche più tenere e divertenti là dove ce ne sarebbero di dure e virili. Questo dà al film una grande vita e una stabilità invidiabile che solitamente prodotti di questo tipo non hanno.

Il buono però è che il film ha un’idea chiarissima di come si racconti una storia, ha un passo indiavolato e nonostante corra moltissimo riesce a dare importanza ad ogni passaggio che tocca. Non trascura i personaggi marginali, cura i rapporti di Buck con gli altri cani e con gli umani anche se gli può dedicare solo un accenno o una scena. Come è giusto che sia lungo tutta la storia del passaggio dal calore di una casa ai grandi spazi americani di un cane che scopre la sua natura più intima e animalesca dopo essere stato civilizzato fin dalla nascita, si respira il grande passo arioso dell’avventura, solo una casella più in là del western.

Con un cattivo da macchietta agghindato con toni hipster poi Sanders riesce anche a dare alla storia un andamento sufficientemente convenzionale per somigliare ai classici Disney con animali (per quanto questo tecnicamente sia un film ibrido tra umani e personaggi animati) e alla fine come suo solito utilizza questo svolgimento convenzionale per una storia di conquista personale. Non la sua migliore di certo ma lo stesso un film di cui andare fieri.

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