Il Regno, la recensione
In un certo senso Il Regno esplicita uno dei più grandi trend delle commedie italiane degli ultimi 10 anni
Ecco tutto questo in Il Regno è letterale. È il più grande ritorno al passato per risolvere i propri problemi e la propria irrisolutezza che si sia visto nell’ultimo decennio. Nella trama Stefano Fresi viene convocato nell’antica tenuta di famiglia da cui fu cacciato decenni prima, perché il padre (che lo cacciò con sua madre) è morto. Scopre così che quella zona recintata e chiusa a lucchetto è stata retrodatata al medioevo. Tutti lì vivono esattamente come fosse il medioevo, e lo fanno spontaneamente. È una società utopistica creata da suo padre (che ne era Re burbero e profittatore) per fuggire dai mali della società, con l’appoggio di piccoli intellettuali. Lui stesso, dopo un’iniziale ritrosia, accetterà la corona.
Fornito uno spunto accattivante (a suo modo) da Bernardo Pellegrini, l’idea di commedia espressa dalla sceneggiatura e regia di Francesco Fanuele (esordiente) è poverissima, è lasciata alle individualità, raramente scritta per davvero puntando su situazioni e intrecci. Mai lasciata a idee visive. Pedantemente affidata al solo Max Tortora (nel ruolo del servo astuto, un avvocato frustrato da quella vita ma poi anche terribilmente nel personaggio) la commedia che riempie questa commedia è una sequela di battute o interventi umoristici di Tortora, che ha proprio il mandato di alleggerire quel che lo stesso Fresi, di certo non un attore dal temperamento drammatico, non fa già. Alleggerire tutto, fino alla morte.
Non è tanto l’ideologia passatista che c’è dietro, né la visione semplicistica della società (che in fondo possono anche passare) e non è nemmeno la povertà di idee una volta superata quella dello spunto. È proprio che Il Regno non ha nessuna voglia di fare del cinema in senso stretto, di immaginare qualcosa, di usare i mezzi del cinema per dire qualcosa, foss’anche solo una battuta, né di spiazzare. Ha solo voglia di arrivare alla sua fine senza intoppi.
Per gli amanti delle statistiche non manca la scena simbolo di questo grande sottogenere, quella in cui un cellulare viene spaccato (stavolta a martellate).