Il regno del pianeta della scimmie, la recensione

Per una nuova serie di film sulla storia del regno delle scimmie che hanno preso possesso del pianeta ci voleva decisamente più personalità

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La recensione di Il regno del pianeta delle scimmie, l'inizio di una nuova possibile saga ambientata nell'universo del reboot del film

Siamo 300 anni dopo gli eventi della trilogia reboot di Il pianeta delle scimmie (il che rende questo film il primo di una potenziale serie di sequel del reboot), Cesare, la scimmia che aveva iniziato la ribellione è un nome lontano nel tempo i cui insegnamenti vaghissimi sono letti in maniere diverse da tribù differenti di scimmie. Ne seguiamo alcune appartenenti a una, pacifica, la cui quiete è turbata dall’incursione di un’altra più violenta. Una delle scimmie sopravvissute, insieme a un’umana selvaggia che non parla, dovrà cercare di recuperare i suoi compagni e amici, nel farlo scoprirà che c’è un piano da parte di questa tribù più violenta, che potrebbe cambiare gli equilibri del mondo.

Da quando Il pianeta delle scimmie è ripartito ha conquistato il discutibile primato di franchise con i titoli più assurdi e insignificanti. Ora Il regno del pianeta delle scimmie (frase che non vuole dire nulla, o è un pianeta o è un regno o sono più regni in un pianeta) ribalta alcuni assunti, mette scimmie contro scimmie con gli umani a fare da terzo incomodo. È una dinamica abbastanza tipica da cinema di fantascienza anni ‘70, di quelli in cui le società del futuro sono dittatoriali e molto simili a quelle del passato. Niente di nuovo, niente di originale. Ma non è quello il problema.

Il guaio di Il regno del pianeta delle scimmie è che ingrana troppo tardi e troppo poco. La prima parte del film, tutta dedicata alla nuova scimmia che è protagonista di questo film e di una possibile nuova serie, la imposta e caratterizza malissimo. Noa (con questo suo portato biblico nel nome) è un personaggio senza qualità, senza qualcosa che gli dia un po’ di tensione, non ha carattere, non ha obiettivi accattivanti. Anche il suo conflitto è abbastanza blando per un film di questo tipo, è un eroe riluttante spinto all’azione dal dover salvare i propri simili. Si ritrova leader senza averlo chiesto. Tutta l'azione in cui viene coinvolto (ben fatta, come si conviene) è spenta perché non abbiamo ragione per interessarci a lui e alle sue peripezie (anch'esse molto risapute, specialmente dopo Avatar).

Poi, con l’ingresso della ragazza umana, il film migliora e trova molto più interesse. Ma è tardi e anche i nuovi conflitti che vengono messi sullo schermo non sono proprio eccezionali, ma una maniera di ripescare dal passato dinamiche già digerite dal cinema, già viste, già proposte e già elaborate. Di fatto le scimmie buone, come partito e come popolo, sono banalizzate e diventano i nativi americani, dei buoni selvaggi, esponenti di un modo di vivere pacifico e in grande armonia con la natura. Sagge e abitanti di una società giusta. Ma ancora peggio è la fazione cattiva delle scimmie, a cui è dato il più trito e vecchio dei topos letterari riguardo i primati: il desiderio di essere come gli uomini. Il nuovo villain aspira all’evoluzione, aspira ad avere quello che gli uomini hanno, è ammirato da quello che hanno costruito e questo lo avvicina a una versione spietata di Re Luigi di Il libro della giungla. Che forse non è quello di cui ha bisogno questa saga.

Continua a leggere su BadTaste