Il Re, la recensione | Venezia 76

La saga di Enrico Shakespeare piegata, trasformata e modificata diventa in Il Re cinema di guerra e adolescenza magistrale

Critico e giornalista cinematografico


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Hal, cioè Enrico V, è un ragazzo che si batte contro il padre, contro il mondo che il padre rappresenta, contro la sua idea di politica e soprattutto la sua inclinazione alla guerra (sua e di chi lo consiglia e circonda). Ha la faccia ma soprattutto il corpo giovanissimo di Timothée Chalamet (forse il giovane più giovane che abbiamo visto al cinema da anni a questa parte, ha tutto del giovanilismo, non solo l’età), cosa che calza a pennello all’idea di sottolinearne l’impeto giovanile, l’idealismo e il desiderio di distruggere il mondo dei padri per affermarne uno nuovo. Il Re, presentato fuori concorso al Festival di Venezia, è a lungo la storia di come una persona cerchi di non assomigliare al mondo che l’ha preceduto a dispetto di una corte di consiglieri che invece lo spinge in quella direzione, di come si possa rifiutare ogni atteggiamento consolidato per imporre un’identità nuova, ma soprattutto propria.

Michôd assieme a Edgerton riscrive la saga di Enrico di Shakespeare cambiando moltissimo e amplificando il sottotesto adolescenziale nella prima parte (ma non ne nega né la forma austera, né il tono epico e drammatico cosa per niente facile), per poi cambiare quando Enrico V è nominato re. Non vuole la guerra, fa di tutto per evitarla ma alla fine sembra esserci costretto e anche quando deve farla vuole condurla diversamente, con il minor spargimento di sangue possibile. Eppure questi suoi desideri sono costantemente frustrati dall’attualità dei fatti, dalle azioni della controparte che non la pensa alla stessa maniera.

L’audacia di rileggere la storia e Shakespeare con tutte le concessioni che si vogliono trasforma Il Re in un film di guerra vero e proprio, ma in costume, e grazie all’idea di allungare la vita a Falstaff (originariamente muore all’inizio) ribaltandone la personalità (non più un cialtrone fanfarone ma un titano caduto) Michôd ed Edgerton creano una spalla perfetta per questo re ragazzo carismatico e fragile. Edgerton si orsonwellizza, con un barbone e una voce profonda, diventa quel Falstaff (fisicamente) per incarnare però l’archetipo dell’amico fidato del protagonista. L’abbinamento è perfetto e consente a Il Re di dare spallate continue al cinema dei generi, al piacere del pubblico e di farlo senza rinunciare ad un lavoro instancabile su ambienti, fotografia, montaggio e recitazione.

Timothée Chalamet ha il carisma giusto ed è così lampante che abbia centrato il personaggio dandogli tutte le sfumature di cui necessita che il film si amplia quando è lui a parlare con la gravitas giusta e l’umanità necessaria. Non l’avevamo mai visto così al centro di un film che ha così bisogno del suo personaggio, e lo regge dando l’impressione di non sentirne il peso. Non è una sorpresa (in fondo) ma una conferma doverosa: questo è un attore completo, forte e capace di molto più di quello che gli stiamo vedendo fare, nonostante questo basterebbe a definire un’intera carriera.

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