Il ragazzo e l'airone, la recensione

Il ragazzo e l’airone - più che un film compiuto per la sua storia particolare - è la summa estetica e narrativa dell’intero cinema di Miyazaki: un testamento poetico in cui l’idea di creatore/guardiano di un mondo da lasciare in eredità non fa che convincerci della reale centralità di tale sottotesto.

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La recensione di Il ragazzo e l'airone, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023

Dentro a Il ragazzo e l’airone ci sono tutti gli elementi centrali di un film di Hayao Miyazaki. Non solo perché, letteralmente, in questa avventura magica c’è la medesima di idea di elementarità naturale a sorreggere il tema e il concept di un mondo alternativo (un mondo d’acqua, di terra, d’aria, di fuoco o una combinazione di questi). Ma anche perché, e questa è la cosa davvero commovente, Il ragazzo e l’airone più che un film compiuto per la sua storia particolare - affatto priva di difetti - è la summa estetica e narrativa dell’intero cinema di Miyazaki: un testamento poetico in cui, tra l’altro, l’idea di creatore/guardiano di un mondo da lasciare in eredità non fa che convincerci della reale centralità di tale sottotesto.

Ambientato durante una guerra che, anche se non viene detto, pare a tutti gli effetti la seconda guerra mondiale (come Si alza il vento e Porco Rosso), Il ragazzo e l’airone è nella struttura principale una versione alternativa, ristretta e più dispersiva di La città incantata. Il protagonista è Mahito, un ragazzino che, dopo la tragica morte della madre in un incendio, si trasferisce in una sontuosa villa in campagna dove lui e il padre vivono insieme alla nuova moglie di questo, Natsuko. Ad ossessionare Mahito non sono solamente le visioni di quella morte nel fuoco ma, fisicamente, anche un airone cenerino che sembra presagirgli qualcosa. Quando, un giorno, Natsuko scompare misteriosamente, per Mahito la chiamata all’avventura prende la forma di una ricerca e, proprio come in La città incantata, comincerà con l’attraversamento di un varco da cui - per farcela - non bisognerà guardarsi indietro.

Curiosità, desiderio di evasione e infine accettazione del male: sono queste le caratteristiche che muovono il protagonista di Il ragazzo e l’airone e che, in una storia di crescita dalle fattezze intricate e surreali, ci parlano di un percorso in realtà molto chiaro nel suo nucleo - l’elaborazione del lutto. La storia di Il ragazzo e l’airone è abbastanza caotica non perché sia veloce o succedano troppe cose, ma perché Miyazaki sembra usare la trama (fatta di quest ed eventi ad accumulo) per arrivare dove davvero gli interessa: a una certa scena, con un certo personaggio, che dice certe cose a Mahito ma che in realtà parla con lo spettatore di cosa sia, per Miyazaki, il mondo in cui viviamo e il senso che ha viverlo. Da questo punto di vista, Il ragazzo e l’airone è forse uno dei film narrativamente più deboli di Miyazaki (siamo comunque nell'ordine di un grande film), ma sicuramente è uno dei più densi e personali.

Visivamente, Miyazaki costruisce un viaggio di stupore e meraviglia che da un mondo ordinario e quasi asfittico nella sua staticità ci trasporta tra colline ventose, distese marine sconfinate, fortificazioni che si sviluppano in verticale e che, labirintiche e abitate da esseri, guardiani, alleati e nemici, costruiscono un sub-mondo rispetto alla realtà. La dimensione di Il ragazzo è l’airone è, come spesso in Miyazaki, quella magica, ma è il tripudio dei riferimenti ciò che qui, come in generale nel suo cinema, ne imprime il marchio inconfondibile: tra il racconto ottocentesco di tentazione demoniaca e pure la sua pittura (c’è un riferimento preciso a L’isola dei morti di Böcklin), la spiritualità orientale animista, l’ossessione per il feticcio (bamboline-amuleti) e il trasformismo umano-animale, in Il ragazzo e l’airone è davvero il mondo di Miyazaki e la sua idea di animazione come possibilità infinita di generare immaginari ad essere la più incredibile ed emozionante protagonista.

L’idea di film-testamento si compie così in Il ragazzo e l’airone non tanto nella trama o nel suo particolare atuocitazionismo (che è appunto infinito e in ogni senso possibile) ma, profondamente, nella sua dimensione di sogno ad occhi aperti. Quel viaggio di fantasia dove è insensato chiedersi cosa sia reale e cosa no e con cui da sempre, e ancora una volta con questo film, Miyazaki ci porta alla scoperta delle emozioni umane più profonde, indivisibili nella loro circolarità rispetto alla natura di ogni cosa. In un mondo che cade a pezzi, malvagio e corrotto, il bene è sempre possibile: ed è quella luce di ottimismo, creata dalla fantasia, che Miyazaki ci chiede con gentilezza di conservare.

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