Il punto di rugiada, la recensione
Il punto di rugiada vorrebbe raccontare un'Italia che scompare, ma si incarta in una narrazione contraddittoria e retorica.
La recensione di Il punto di rugiada, il nuovo film diretto da Marco Risi, al cinema dal 18 gennaio.
Il punto di rugiada è purtroppo un’occasione sprecata. Tutta la parte introduttiva lascia ben sperare, caratterizzando efficacemente i personaggi, il loro ambiente e le rispettive poste in gioco. Il cast è assolutamente in parte, a cominciare dai due protagonisti (fra cui Gudese spicca per simpatia e naturalezza: un talento da tenere d’occhio). La regia di Marco Risi, pulita ed essenziale, riesce inizialmente a gestire l’unità di luogo, tenendosi al riparo dal teatro filmato. I problemi sono due: primo, una tremenda confusione tematica; secondo, più il tempo passa più quel senso della misura sembra deteriorarsi, fino a un terzo atto stucchevole e retorico.
Non sarebbe un problema, senonchè lo spostarsi dell’attenzione da Carlo e Manuel (nella seconda parte quasi ridotti a comparse nel loro stesso film) contraddice il patto narrativo istituito col pubblico, interessato soprattutto a capire come andrà a finire la loro storia. Si riabiliteranno? Ricadranno nei loro vizi? Cosa impareranno dal confronto con gli anziani? Le risposte a queste domande arrivano, ma quasi in secondo piano, dando alla vicenda dei due ragazzi un sapore pretestuoso, di qualcosa che non interessa davvero. Ugualmente attaccato con la colla il “colpo di scena” finale, che salda la vicenda raccontata dal film con la storia italiana recente in modo tanto raffazzonato da rasentare il cattivo gusto. Un colpo basso, a prescindere dalle intenzioni.