Il punto di rugiada, la recensione

Il punto di rugiada vorrebbe raccontare un'Italia che scompare, ma si incarta in una narrazione contraddittoria e retorica.

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La recensione di Il punto di rugiada, il nuovo film diretto da Marco Risi, al cinema dal 18 gennaio.

Carlo (Alessandro Fella) ragazzotto di famiglia bene, e Manuel (Roberto Gudese) giovane spacciatore, sono nei guai con la legge. Carlo ha provocato un incidente in cui è rimasta ferita una ragazza. Manuel gli ha venduto gli stupefacenti assunti quella sera. Vengono condannati a un anno di lavori socialmente utili presso la casa di riposo Villa Bianca. Lavoreranno a contatto con gli anziani ospiti, e se ricadranno nelle vecchie abitudini li aspetta la galera.

Il punto di rugiada è purtroppo un’occasione sprecata. Tutta la parte introduttiva lascia ben sperare, caratterizzando efficacemente i personaggi, il loro ambiente e le rispettive poste in gioco. Il cast è assolutamente in parte, a cominciare dai due protagonisti (fra cui Gudese spicca per simpatia e naturalezza: un talento da tenere d’occhio). La regia di Marco Risi, pulita ed essenziale, riesce inizialmente a gestire l’unità di luogo, tenendosi al riparo dal teatro filmato. I problemi sono due: primo, una tremenda confusione tematica; secondo, più il tempo passa più quel senso della misura sembra deteriorarsi, fino a un terzo atto stucchevole e retorico.

C’è un difetto evidente nella sceneggiatura a sei mani di Risi, Francesco Frangipane e Riccardo de Torrebruna: i due ragazzi protagonisti sono il punto d’avvio della storia, ma non ne sono il vero cuore tematico. Agli autori interessano molto di più le storie degli anziani ospiti di Villa Bianca, interpretati benissimo da veterani del calibro di Eros Pagni e Massimo De Francovich. Esponenti di un’Italia che scompare, in qualche caso figure autobiografiche (nel fotografo Dino c’è un chiaro omaggio a papà Dino Risi) sono loro la vera ragion d’essere del film, il centro di tutti i suoi rovelli e riflessioni. Tramite loro Risi racconta scollamenti generazionali, eredità scomode - con un divertente Pagni “mussoliniano” - e un certo pessimismo sulle sorti del panorama artistico nostrano, incapace di rimpiazzare i vecchi maestri che se ne vanno.

Non sarebbe un problema, senonchè lo spostarsi dell’attenzione da Carlo e Manuel (nella seconda parte quasi ridotti a comparse nel loro stesso film) contraddice il patto narrativo istituito col pubblico, interessato soprattutto a capire come andrà a finire la loro storia. Si riabiliteranno? Ricadranno nei loro vizi? Cosa impareranno dal confronto con gli anziani? Le risposte a queste domande arrivano, ma quasi in secondo piano, dando alla vicenda dei due ragazzi un sapore pretestuoso, di qualcosa che non interessa davvero. Ugualmente attaccato con la colla il “colpo di scena” finale, che salda la vicenda raccontata dal film con la storia italiana recente in modo tanto raffazzonato da rasentare il cattivo gusto. Un colpo basso, a prescindere dalle intenzioni.

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