Il profumo dell'oro, la recensione

La grande truffa alla grande e potente famiglia del piccolo paesino in Il profumo dell'oro è una scusa per parlare di insoddisfazione

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Il profumo dell'oro, disponibile su Netflix dal 6 luglio

Potrebbe sembrare un film di rivalsa sociale all’interno del genere “per rubare a un’azienda grande ci vuole una truffa grande” ma non è nessuno dei due. Il profumo dell’oro è un’opera piccola e marginale da cinema francese medio e per questo particolarmente riuscita, libera e attenta solo a sembrare convenzionale da fuori, mentre all’interno rompe un po’ tutte le regole. È ambientata più che altro in un grande magazzino di una grande ditta di una grande famiglia che da sempre domina in un piccolo paesino di provincia, i protagonisti fin da piccoli sono cresciuti con lo spettro di questo cognome potente e ricco che non faceva altro che cercare di essere più ricco, comprando tutto e tutti. Si sono promessi che si sarebbero opposti a quella famiglia tutta la vita ma dopo pochi anni di infruttuosa ricerca di lavoro finiscono anch’essi alle dipendenze del gruppo nel grande magazzino. Sono due scemi in fondo, il caso e l’intuizione però gli danno un’idea per il colpo perfetto, è un rischio ma la voglia di fregare quei potenti è troppa.

C’è subito odore di anticapitalismo ma la ragione che spinge il più protagonista dei due protagonisti è in realtà molto risibile (e per questo gustosa): i ricconi hanno messo un cartellone che pubblicizza la loro attività davanti alla casetta di famiglia di campagna comprata decenni prima dalla madre in modo che potesse vedere da lontano la grande cattedrale. Quel cartellone copre perfettamente l’edificio ed è davvero troppo. Da qui un crescente risentimento che poi sfocia nella decisione di truffarli, rubare a loro per arricchirsi, coinvolgendo sempre più persone nella ditta in uno schema sempre più elaborato. Lo schema inizia a rompersi quando è chiaro che tutti in quell’azienda sembrano voler partecipare alla truffa volentieri, anche i dirigenti e anche il padrone!

Nonostante l’impressione a tratti sia che il desiderio del film di divertirsi sia superiore all’effettiva capacità di coinvolgere il pubblico in questo grande divertimento, tra piani eseguiti più o meno bene, infiltrati, grandi schemi, imprevisti e sorprese, Il profumo dell’oro sa prendere una serie di personaggi non per forza scontati, non per forza usuali, in una storia di godimento e piacere nell’avidità, un trionfo della gioia dell’illegalità e dello sforzo incredibile nel rubare, opposto al nessuno sforzo del lavoro ordinario. E questo perché se di una cosa alla fine parla il film, è del senso di realizzazione di chi non ha altri modi di sentirsi realizzato, della percezione di grandezza in un’impresa come quella del film, in contrasto con i compiti ordinari, il lessico “siamo una grande famiglia” e la noia e il grigiore del lavoro senza prospettive.

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