Il profeta - La recensione

Un ragazzo passa al carcere dei 'grandi' e si ritrova a dover fronteggiare dei mafiosi che lo tormentano. Uno dei migliori film degli ultimi anni, perfetto sia a livello registico che nelle interpretazioni...

Condividi

Recensione a cura di ColinMckenzie

TitoloIl profetaRegiaJacques AudiardCast
Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Hichem Yacoubi, Reda Kateb, Jean-Philippe Ricciuscita26 febbraio 2010 

Ogni tanto, capita di vedere un film che sembra, magicamente, esente da difetti. Come se, insomma, tutto funzionasse come un orologio svizzero e in un meccanismo perfettamente calibrato, ma senza per questo essere privo di sorprese e di particolari intriganti. Un profeta di Jacques Audiard è proprio questo tipo di film.

E' francamente difficile dire quali siano gli aspetti migliori della pellicola, visto che c'è l'imbarazzo della scelta. Possiamo allora concentrarci su due particolari fondamentali. Il primo è la regia dello stesso Audiard, in grado di dar vita allo stile migliore che ogni scena richiede, passando tranquillamente dalla macchina a mano (che offre un realismo notevole in carcere), ad alcune scene quasi oniriche all'esterno. Da una parte, è evidente la mano di un maestro dietro alla macchina da presa; dall'altra, non si ha mai l'impressione che il regista si metta in mostra, neanche in una scena violentissima e impressionante, di sicuro una delle più forti viste nell'ultimo anno. Insomma, uno stile unico, che in talune occasioni sfrutta anche benissimo i brani rock utilizzati.

Ma dove arriviamo a livelli straordinari senza se e senza ma, è nei due protagonisti. Tahar Rahim sarebbe un quasi esordiente, ma mostra una maturità degna di veterani con trent'anni di carriera alle spalle. Il modo in cui passa dall'essere totalmente spaesato in questa discesa agli inferi, a divenire un uomo scafato e che riesce a ottenere quello che vuole ("io lavoro per me stesso", continua a ripetere) mi ha fatto pensare un po' alla metamorfosi (anche se di senso quasi opposto) di Edward Norton in American History X (pellicola che peraltro ha diversi punti di contatto con questa). E che dire dell'immenso Niels Arestrup, in grado di tratteggiare una figura violenta come poche, ma allo stesso tempo tragica e solitaria? Insomma, siamo di fronte a due dei personaggi più affascinanti e complessi visti ultimamente, merito da dividere (fate voi le parti, io non me la sento) tra gli attori e lo sceneggiatore/regista.

Ma Un profeta ha ancora molte frecce al suo arco. Vogliamo parlare della strepitosa fotografia di Stéphane Fontaine, che francamente non avrebbe sfigurato (anzi!) nelle candidature all'Oscar? O una narrazione che non si sa mai esattamente dove andrà a parare, in cui i momenti quieti possono diventare tesissimi (e viceversa), in cui la realtà carceraria viene mostrata senza sentimentalismi (anche vedere un film porno è un privilegio), ma senza neanche voler scandalizzare, e che in generale è in grado di esprimere un senso di solitudine estremo in quasi tutti i protagonisti?

Insomma, se non l'aveste capito, siamo di fronte a un capolavoro assoluto, una delle migliori pellicole europee (meglio, mondiali) viste ultimamente. E speriamo che il favorito Il nastro bianco soccomba agli Oscar di fronte a questo prodotto, decisamente più coraggioso e originale del candidato tedesco...

Continua a leggere su BadTaste