Il Professore e Il Pazzo, la recensione
Non la buona recitazione ma la retorica della buona recitazione è il mantra che Il Professore e Il Pazzo usa per conquistare lo spettatore
Mel Gibson e Sean Penn sanno benissimo in che tipo di film stanno recitando e usano ogni inquadratura per rimarcare il proprio potere e dominio su di esso. È uno spettacolo al tempo stesso maestoso (due attori giganti che maneggiano un intero film) e sconfortante (un film intero ridotto a veicolo per due attori, svilito in ogni sua parte in favore di primi piani). Interpretano uno un letterato che viene incaricato di redigere la prima edizione dell’Oxford dictionary, una delle imprese più culturali più clamorose di sempre, la creazione del primo dizionario durata almeno 70 anni, nei quali sono state cercate tutte le parole della lingua inglese e in cui ognuna è stata indicizzata, spiegata e ricostruita nella sua origine. Nessuno ci era mai riuscito. L’altro un matto, internato, che però possiede la cultura e il tempo per aiutarli nell’impresa più difficile, trovare un metodo per spiegare le parole (l’idea è di farlo a partire dalle definizioni che danno i grandi scrittori nei loro libri e che il pazzo ricorda tutte a memoria).
È cinema classico, in cui i valori più puri si stagliano sulle nubi portate dagli esseri umani peggiori. C’è il pentimento di un criminale, la comprensione umana, la speranza della cura dalla pazzia tramite la letteratura e via dicendo ma è tutto cibo già masticato, non complicato da digerire. Il personaggio più scomodo (Sean Penn, pazzo e omicida) è da subito presentato come amabile, gentile, colto, bello e ragionevole benché tarato dalla follia. Lo sforzo dello spettatore per farsene conquistare è tale solo a parole, in realtà è facilissimo e naturale.